Specchio, 3 luglio 2022
Oriana Fallaci sedotta dalle mannequin
«Ci sono tre cose eccitanti oggi nella moda italiana» si legge sull’edizione americana di Vogue nel settembre 1952 «la prima sta nel fatto che l’Italia è in grado di produrre un genere di abiti per il tempo libero che si adatta perfettamente all’America. La seconda sono i tessuti. La terza gli abiti da sera confezionati meravigliosamente e a un costo relativamente basso». Appena due mesi prima, il 22 luglio 1952, la sontuosa Sala Bianca di Palazzo Pitti era stata teatro di una trionfale sfilata di moda italiana.
Inviata speciale
Dai tintinnanti lampadari di cristallo di Boemia, scriveva Oriana Fallaci, inviata d’eccezione: «Nel silenzio di attesa che si respira soltanto nei tribunali, nei conventi delle monache, nelle aule d’esame e nelle sfilate di moda, la mannequin salì sulla pedana, incespicando nella gonna troppo stretta e con gli occhi completamente nascosti da una cloche calata fin oltre le tempie» E ancora: «La luce colava, calda e accecante sui trecentocinquanta spettatori che, riflessi negli enormi specchi delle pareti, sembravano molto più numerosi della folla che gremisce piazza San Pietro per un Giubileo».
Da quell’afoso giorno di 70 anni fa, fino alla metà degli anni Sessanta, la Sala Bianca sarebbe stata la sede ufficiale delle sfilate di moda italiana. Era iniziata la «sfida» con Parigi. «Con almeno un mese di anticipo su Fath, su Dior, su Piguet e su tutti gli altri grandi sarti francesi, scrive Oriana Fallaci, alcune Case di Moda italiane hanno presentato i modelli dell’inverno 1952. Questa elegante bomba è scoppiata a Firenze la scorsa settimana e ha messo a subbuglio l’ambiente internazionale della Moda. Diciamo pure: un «colpo mancino» studiato con estrema abilità ...».
Firenze capitale della Moda
In un’Italia uscita da poco dalla Guerra, che canta Colomba Vola, delira per la vittoria di Coppi al Tour de France e che si appassiona per il debutto di Maria Callas alla Scala con i Vespri siciliani, Firenze si impone così come capitale dello stile italiano. Mente della manifestazione è Giovanni Battista Giorgini, un gentiluomo toscano che, con oltre 30 anni di esperienza come buyer per i grandi magazzini statunitensi dove esportava prodotti artigianali del Bel Paese, dalla paglia di Firenze al vetro di Murano, aveva intuito che era arrivato il momento per lanciare una moda nostra. Fu così che decise di organizzare una sfilata collettiva di griffe italiane di fronte alla stampa e i compratori internazionali.
I soliti americani
Superato l’iniziale scetticismo degli Stati Uniti legati all’immagine di un’Italia di latin lovers, maccheroni e mandolino, Giorgini riuscì a convincere i compratori dei maggiori departement stores a partecipare all’evento. Era il febbraio 1951 e, nel corso di quella prima sfilata organizzata in casa sua a villa Torrigiani in via dei Serragli, presentarono i loro modelli 13 case di moda italiane di cui nove per l’alta sartoria: Simonetta, Fabiani, Sorelle Fontana, Emilio Schuberth, Carosa, Marucelli, Veneziani, Noberasko e Vanna, e quattro per la moda boutique: Avolio, Bertoli, Emilio Pucci e la Tessitrice dell’Isola.
Italia vs Francia
Il successo fu immediato, la critica entusiasta e le creazioni italiane, con costi del 50% inferiori rispetto a quelle francesi registrarono immediatamente il tutto esaurito. Di lì a poco sulle pagine del New York Times si legge: «Gli abiti di design italiano sembrano destinati a catturare i buyers, non c’è dubbio che Firenze stia per rimpiazzare Parigi». Forte del successo ottenuto Giorgini organizzò la seconda sfilata nei più ampli saloni del Grand Hotel di borgo Ognissanti, finché nell’estate del 1952 non ottenne la prestigiosa sede della Sala Bianca. Lì, davanti alla crème della stampa italiana ed estera, sfilarono nove case di alta moda e 16 ditte di sportswear e boutique. Fu proprio quest’ultimo genere di abbigliamento più sciolto e decontratto, che non aveva un vero equivalente nella moda francese, ad attrarre i compratori esteri.
Deus ex machina
«Oggi può sembrare una trovatina da nulla», ha ricordato Elisa Massai, giornalista spettatrice di quel debutto: ma, per quei tempi, fu coraggiosa e intelligente l’idea di aprire la sfilata con quella moda apparentemente minore, informale, da negozietto caprese. Portare in primo piano la maglieria, la moda-mare, la moda-boutique era come dissacrare la tradizione, il rito dell’alta moda. Giorgini l’ha fatto, ed è segno di talento, di fiuto. Sapeva che quelle proposte erano in linea con il modo di vivere degli americani. E’ stato così che, come uno stratega dell’impero, Giorgini ha condotto la nostra moda di vittoria in vittoria, coniugando idealmente alta moda e boutique, leisurewear e artigianato, in una sorta di perfetta alchimia che, settant’anni dopo, a essere la cifra dello stile italiano.