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 2022  luglio 03 Domenica calendario

I nostri ghiacciai stanno male

Dall’Antartide alle Alpi, il cambiamento climatico non conosce confini e non risparmia nessuno, tantomeno il nostro paese. Negli ultimi cinquant’anni i ghiacciai italiani hanno perso il 30% della loro superficie, riducendosi da 527 a 370 chilometri quadrati. Lo rivelano, con la drammatica potenza evocatrice dei numeri, i dati del Nuovo catasto dei ghiacciai italiani.
La quasi totalità dei ghiacciai in Italia è in forte contrazione e si tratta ormai di una situazione irreversibile. Quello che preoccupa di più gli scienziati non è tanto la perdita di massa dei ghiacciai alpini, quanto la velocità con cui il fenomeno sta avvenendo. Abbiamo a che fare con un ritmo di fusione che non era mai stato registrato da quando sono disponibili delle osservazioni dirette.
Le cause
Ormai tutti sappiamo che la causa del cambiamento climatico è legata alle emissioni di gas serra in atmosfera: anidride carbonica, metano, ossidi d’azoto, che vanno ad incidere in maniera significativa sull’ambiente e sul sistema climatico, con un aumento della temperatura. I ghiacciai vengono definiti le sentinelle del cambiamento climatico, perché sono i primi testimoni dell’innalzamento della temperatura e l’effetto è immediato, tant’è che le previsioni non promettono nulla di buono.
«Se pensiamo alle Alpi orientali, alla Marmolada, sono tutti ghiacciai che andranno irrimediabilmente a sparire», spiega Carlo Barbante, direttore dell’Istituto di Scienze Polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia: «Abbiamo a disposizione modelli climatici che ci dicono che da qui alla fine del secolo, la quasi totalità dei ghiacciai al di sotto dei 3.600 metri nell’arco alpino andrà a scomparire. Molto dipenderà da quanto saremo bravi a ridurre le emissioni».
Le temperature
Nel corso del Novecento, le temperature medie sulle Alpi sono aumentate di 1 grado e mezzo, mentre nel resto dell’emisfero nord del mondo sono aumentate di 0,7 gradi. Le zone alpine sono le prime a risentire dell’effetto della crisi climatica, si riscaldano più velocemente, generando una sorta di circolo vizioso: le temperature più alte fanno sciogliere ghiaccio e neve, facendo diminuire l’effetto albedo, cioè la loro capacità di riflettere i raggi solari nell’atmosfera e mantenere la Terra più fredda.
Del resto, basta fare una passeggiata in montagna, per rendersi conto di quanto si fonda molta più neve in estate, di quanta se ne accumuli durante il periodo invernale. È quello che viene definito il bilancio di massa di un ghiacciaio, un bilancio che a causa dell’aumento della temperatura, è sempre più in negativo.
Se poi si pensa che il problema riguardi solo l’arco alpino, si commette un grande errore. Le conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai riguardano tutti e avranno anche un impatto sulla risorsa acqua, intesa sia come acqua potabile, che come risorsa energetica, perché alcuni bacini delle Alpi sono alimentati dall’acqua che arriva dai ghiacciai. Le Alpi sono la riserva d’acqua dell’Europa intera e alimentano i più importanti fiumi del continente.
Gli effetti
Abbiamo visto negli ultimi mesi il fiume Po patire la più grave siccità invernale degli ultimi trent’anni. Il Po è il più grande fiume italiano, con i suoi 652 chilometri attraversa sette regioni, con sei milioni di abitanti.
La sua secca minaccia fino al 50% della produzione agricola e zootecnica del Bacino padano, tra i più importanti d’Italia e lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe coinvolgere anche famiglie e industrie dell’area, perché l’acqua prodotta dalla fusione della neve e dei ghiacci è indispensabile quando d’inverno le piogge sono scarse.
Il problema è che in futuro bisognerà fare i conti con siccità sempre più severe. Secondo alcune stime, entro il 2050 in estate le portate dei fiumi, alimentate dalle acque provenienti dalle Alpi, potrebbero dimezzarsi provocando un impatto sociale enorme.
Il paesaggio
«Siamo di fronte a un paesaggio drammaticamente stravolto», racconta a Specchio il fotografo Fabiano Ventura, che ha ideato e diretto il progetto fotografico-scientifico «Sulle tracce dei ghiacciai» da cui è stata realizzata la mostra Earth’s Memory. Un viaggio fotografico-scientifico, promosso dal Forte di Bard, che raccoglie un progetto sviluppato lungo tredici anni, otto spedizioni e 314 confronti fotografici.
L’obiettivo è testimoniare gli effetti del cambiamento climatico grazie all’osservazione delle variazioni delle masse glaciali negli ultimi 150 anni. «Uno degli scopi principali di questo progetto multidisciplinare, è aiutare i ricercatori a comunicare i loro dati in maniera più emozionale». E così le parole lasciano spazio alla potenza, all’immediatezza, delle immagini e dell’arte: «Ho scelto come chiave per raccontare gli effetti del cambiamento climatico, il passare del tempo. La fotografia più antica che ho riprodotto risale al 1849. Nei confronti esposti si possono vedere i cambiamenti sconvolgenti che riguardano le catene montuose più grandi del Pianeta».
C’è infine un aspetto meno conosciuto, ma non meno importante che ha a che fare con il "linguaggio" dei ghiacciai.
Essi contengono numerose informazioni sui mutamenti del clima del passato, dell’ambiente e in particolare della composizione atmosferica: variazioni della temperatura, delle concentrazioni atmosferiche di gas serra, di emissioni di aerosol naturale (nuvole, nebbia, foschia) o di inquinanti di origine umana.
In altre parole, rappresentano un archivio di informazioni indispensabili, per conoscere le informazioni sull’evoluzione del clima. Tuttavia, se il cambiamento climatico procederà al ritmo attuale, l’umanità perderà per sempre pagine uniche della storia del nostro ambiente.
Per questo, un gruppo di scienziati italiani e francesi ha deciso di salvare almeno un pezzo di questa memoria, analizzarlo e tenerlo al sicuro per le generazioni future. Il progetto, dall’evocativo nome Icememory, è stato lanciato nel 2015 con la creazione della prima biblioteca mondiale dei ghiacciai, in uno dei luoghi più freddi e inaccessibili del Pianeta: l’Antartide.
I carotaggi
Da allora gli scienziati, effettuano carotaggi nei ghiacciai più minacciati dal cambiamento climatico in tutto il mondo. I primi sono stati effettuati sul Col du Dôme, a 4300 metri sul Monte Bianco, perché proprio qui i ghiacciai si ritirano più rapidamente. I promotori del progetto pensano che la loro «biblioteca del ghiaccio» svolgerà per i posteri un ruolo analogo a quello della Stele di Rosetta, che offrì agli archeologi la possibilità di decifrare la scrittura degli egiziani così svelando i segreti della loro grande civiltà.
«La nostra generazione di scienziati, testimone del riscaldamento globale, ha una grande responsabilità verso le generazioni future. Per questo doneremo campioni di ghiaccio provenienti dai più fragili ghiacciai alla comunità scientifica dei decenni e dei secoli a venire, quando questi ghiacciai saranno scomparsi o avranno perso la qualità dei loro archivi», commenta Carlo Barbante, promotore italiano del progetto.
Insomma, la lingua del ghiaccio ci racconta il nostro passato e potrà contribuire alla costruzione delle strategie per salvare il Pianeta.