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 2022  luglio 03 Domenica calendario

Intervista a Giuseppe Tornatore

Se non si dovesse parlare di Oscar, dei successi e delle star che ha diretto, del segno che hanno lasciato tutti i suoi film, Giuseppe Tornatore andrebbe definito in un unico modo, equilibrista dell’understatement, maestro di riservatezza, cinefilo gentile, pronto a entusiasmarsi quando gli si cita un autore oppure una sequenza di un film amato. Ieri alla serata finale del Taormina Film Festival, presentata da Anna Ferzetti, è stato proiettato il suo Ennio, film fenomeno dell’anno, un documentario che, insieme ai blockbuster americani, ha dimostrato che, se ne vale la pena, il pubblico è pronto a ritornare in sala: «Io stesso non ho ancora capito la ragione del successo. Non è questione di montaggio, né di musiche, che sono straordinarie, ma anche conosciutissime. Forse l’unica spiegazione è nella libertà con cui, nel film, Morricone si racconta senza limiti e senza false modestie, una scelta che ha sorpreso».
Mercoledì sarà discussa in Senato la mozione che allunga fino a 180 giorni lo spazio tra la proiezione de i film in sala e su piattaforma. E’ un modo per dare ossigeno ai cinema, che cosa ne pensa?
«Spero che si riesca a trovare un parametro che metta d’accordo tutti, è una situazione che va regolata e va cercato il punto di equilibrio. E’ un enigma che ci portiamo dietro, mi auguro che questa mozione possa risolverlo".
Quanto è cambiato, con il Covid e lo streaming, il suo modo di pensare il cinema?
«Continuo a immaginare le mie storie come prima, ad avere una visione "film-centrica" del mio lavoro, non voglio impormi altre regole, procedo come ho sempre fatto. Non sono un consumatore di serie, non ho acquisito questa sorte di febbre, però non ho pregiudizi. Quando ne trovo qualcuna degna di attenzione la seguo, ma, se non succede, non mi considero uno spettatore di serie B. Bernardo Bertolucci mi faceva sempre sentire in difetto, mi chiedeva se vedevo le serie, io rispondevo di no e lui "non capisci niente, sei all’antica". Diversi anni fa era stato lui a convincermi a vederle. I film continuo a guardarli al cinema e, se non posso farlo, preferisco comprarli in dvd o Blue Ray, l’ultima possibilità è la piattaforma, sono abbonato a un paio. Continuo a essere uno spettatore senza pregiudizi, aperto a tutto. Recentemente mi sono esaltato vedendo al cinema Esterno notte di Bellocchio, mi è piaciuto il suo modo giovane e forte di raccontare quel dramma».
Cinema popolare e impegnato, una contrapposizione che riguarda, nel campo della musica, anche Morricone. La spaccatura è superabile ?
«Una delle specialità di Morricone è stata aver immediatamente capito, già alla fine degli Anni 50, che c’era una frattura eccessiva tra musica popolare e colta e che questo schema non poteva avere vita lunga. Per tutta la sua esistenza ha lavorato per rendere più colta e raffinata la musica popolare e, dall’altro lato, più accessibile quella contemporanea. Se riportiamo l’esperienza al cinema dobbiamo trarne un insegnamento, capire che fare un film per un pubblico ampio non vuol dire fare un’operazione di mercato e, viceversa, che i film visti da pochi non sono necessariamente straordinari ma incompresi. Ho sempre rifiutato questa dicotomia. Da ragazzo ho visto tanti film venerati proprio perché non facevano una lira, mentre altri, che incassavano, erano guardati con sospetto. Questa situazione è un po’ mutata, ma solo un poco. Non dobbiamo essere troppo creduloni, convinti che l’incomprensione faccia guadagnare automaticamente un posto in Paradiso».
C’è un film, che non ha mai realizzato, Leningrado, ambientato durante i 900 giorni dell’assalto nazista. Che impressione le fa, oggi, assistere alla guerra in Ucraina?
«E’ un tormento continuo, quando mi capita di essere in situazioni festose, mi viene di pensare alla gente che, in quello stesso momento, sta cercando di sfuggire ai bombardamenti. Mi chiedo in che mondo ci siamo ficcati, dove siamo andati a finire. Leggendo i giornali cerco di trovare una logica che non trovo, la mia generazione pensava di essere privilegiata perché era sfuggita a un’epoca terribile della storia, e invece ora ci ritroviamo così… sembra una trovata di uno sceneggiatore perfido, ma, purtroppo, non è così…».
C’è una spaccatura, in Italia, tra chi pensa sia giusto dare armi all’Ucraina e chi no. Che ne pensa?
«Non posso aggiungere niente a questo argomento. E’ un tema complicato, capisco il tormento di tanti, è anche il mio tormento».