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 2022  luglio 02 Sabato calendario

Intervista a Tom Scioli. Parla di Jake Kirby

Thor, Hulk, Iron Man, gli X-Men? Di Jack Kirby. E tanti altri supereroi ancora. Anche la nascita di Spider-man vede Jack Kirby in prima linea. Certo, lui era più che altro il disegnatore, ma non c’è dubbio che abbia svolto un ruolo importante (spesso non riconosciuto) anche nella creazione e nella scrittura delle storie dei suoi personaggi, firmati soprattutto in coppia: prima quella creata con Joe Simon negli anni Quaranta, poi quella con Stan Lee che portò alla rinascita del mondo dei supereroi negli anni Sessanta. La sua vita ora diventa un romanzo a fumetti realizzato da Tom Scioli: raccontato in prima persona da Kirby (solo occasionalmente la voce passa ad altri), appassionante nonostante le didascalie continue. La vita di colui che è stato battezzato “The King of Comics” è effervescente, in continuo movimento, per merito suo e della storia che gli gira intorno: quella fumettistica, fatta di continui stravolgimenti, colpi di scena, successi e insuccessi, e quella con la S maiuscola che interrompe la vita sua e di tanti ragazzi di quel tempo con la Seconda Guerra Mondiale. Dalle prime vignette alle ultime il Kirby di Scioli ha la faccia di un ragazzino scatenato, pronto a prendere la vita a muso duro, ma capace di annusare l’aria che sta vivendo, di capire le emozioni dei suoi lettori. E poi instancabile nel cercare di rinnovarsi, per continuare a stupire i propri lettori. Ma forse per capiredavvero cosa abbia rappresentato questo fumettista per i suoi lettori la cosa migliore è chiedere a Tom Scioli.Chi è per lei Jack Kirby?«Nessun artista al mondo è come lui.Mi ha fatto crescere, colpendomi con la sua immaginazione fin da quando ero un ragazzino. E quando finalmente ho capito a cosa era legato il suo nome, sono rimasto incantato dalla varietà della sua produzione, che non si ferma affatto a quella dei supereroi. È incredibile che un fumettista solo abbia potuto produrre quella quantità incredibile di pagine».L’ha mai incontrato?«Purtroppo no. Devo dire che ho cominciato a capire chi fosse e la sua grandezza da ventenne negli anni Novanta. E lui se n’era già andato, nel 1994. In quegli anni io studiavo arte e volevo disegnare alla sua maniera, con il suo stile, per cercare di capire nella maniera più profonda possibile come realizzasse i suoi fumetti. Così ho conosciuto tanto della sua vita e ho cominciato a sperare che qualcuno realizzasse un fumetto su di lui. Poi un giorno ho capito che avrei dovuto farlo io».Ci spiega allora in che maniera Kirby realizzava i suoi fumetti?«Credo che l’abbia fatto in tutte le maniere possibili. D’altra parte lui ha cominciato nella prima era dei comic book, a New York. Ma per me il giusto modo di definire il suo approccio con le tavole è questo: era intuitivo. Kirby creava un mondo nella sua testa e poi partiva con la matita sulla tavoladisegnando e scrivendo allo stesso tempo».Quindi disegnava senza una sceneggiatura dettagliata?«Molti aspetti della storia gli erano imposti dalle scelte degli editori. Ma tutti sapevano che Kirby se aveva libertà di creare avrebbe fatto cose meravigliose. Stan Lee voleva essere l’unico autore dei dialoghi ma era consapevole che lasciare Kirby a briglia sciolta avrebbe dato ottimi risultati».Nel suo fumetto Kirby sembra essere un eterno ragazzo, anche quando invecchia.«Per fare quello che ha fatto lui, devi sempre tenere vivo il bambino dentro di te. Devi sempre continuare a giocare. E magari anche continuare a mangiare torte di cioccolata».E poi gli piaceva lavorare tanto, tantissimo.«Sì, credo che fosse un workaholic, che fosse dipendente dal lavoro.Creare continuamente dava sicurezza a uno come lui che era nato nella violenza, che aveva vissuto la depressione economica e la guerra».Ma l’industria del fumetto non era affatto tranquillizzante. Nel suo libro appaiono editori per niente raccomandabili.«Eh sì. Il mondo criminale era coinvolto in quell’industria. Jack Kirby e molti altri artisti amavano il fumetto e quello che facevano, per gli editori era come il selvaggio West. Oggi per fortuna le cose sono diverse e migliori».Anche perché c’è un maggiore rispetto per gli artisti?«Per molti anni gli autori di fumetto erano imbarazzati a rivelare quale fosse la loro professione. Il fumetto sembrava spazzatura fatta per rovinare le menti dei ragazzini. Le cose sono cambiate negli anni Sessanta con i supereroi Marvel. E poi in seguito, grazie a fumettisti come Art Spiegelman e Alan Moore».In alcune pagine del suo libro Kirby sembra una vittima del sistema fumetto.«Sicuramente voleva apparire così.Anche se ha avuto una vita piena di problemi, di scontri, anche di mancati riconoscimenti (avrebbe potuto essere ricco, avrebbe potuto avere la pensione), nonostante tutto è stato anche felice».Alla fine della sua vita la pensione l’ha anche avuta.«Sì, ma perché è entrato nel mondo dell’animazione. Che negli anni Ottanta era proprio un’altra cosa, rispetto a quello del fumetto».Qualcuno si è arrabbiato per come nel libro ha raccontato certi scontri?«Anche se molte persone vivono appassionatamente quelle storie e quegli autori per ora nessuno ha protestato. Peccato però: per il successo del libro una polemica sarebbe un’ottima cosa».Cosa rappresenta oggi la figura del supereroe?«Continuano a piacermi. Un giorno rappresentavano la riscossa del più debole. Oggi davvero non saprei dire che senso abbiano».