Robinson, 2 luglio 2022
Nuria Shoenberg ricorda Luigi Nono
Luigi Nono è ancora tra noi. A trentadue anni dalla morte del compositore veneziano, la sua musicacontestataria continua a dar voce a chi è vessato dal capitalismo, dalla censura, dagli autocrati. Attorno a tredici suoi lavori il Chigiana Internationl Festival di Siena assembla, dal 5 luglio al 2 settembre, un fitto cartellone concertistico incentrato su tante partiture del presente e del passato prossimo, comprese prime esecuzioni. Della produzione di Nono, cuore del programma, vengono proposti capisaldi qualiRicorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, laFabbrica illuminatache nel 1964 denunciava le condizioni di lavoro alienanti cui erano soggetti gli operai dell’Italsider di Genova, eQuando stanno morendo – Diario polacco n. 2
(1982), reazione alla legge marziale imposta dal generale Jaruzelski per reprimere Solidarno??. A custodire l’eredità artistica e morale di Nono è la vedova Nuria Schoenberg, animatrice, alla Giudecca, della Fondazione-Archivio intitolata al marito (così come della fondazione viennese dedicata al padre Arnold Schoenberg, ideatore della dodecafonia). Lei, che ha appena compiuto novant’anni, è una miniera di ricordi. Mentre parla con noi al cellulare, le suona il fisso.
Chiedono dell’Hotel Danieli.
«Succede perché in un vecchio elenco del telefono, al Danieli, qui vicino, hanno attribuito per errore il nostro numero», racconta.
«Avevamo anche un numero simile a quello della Curia, quindi spesso cercavano da noi qualche monaca. E io rispondevo che no, la sorella in quel momento non c’era. Scesa a Roma per i funerali di Togliatti».
Signora Nuria, in che modo la musica di Nono, impregnata di impegno politico, è riuscita a resistere al trascorrere del tempo?
«Risultano sempre attuali i temi che tratta: la lotta degli oppressi per i diritti, l’emigrazione, l’aspirazione dell’uomo a vivere un’esistenza veramente umana. Anche se viene presentata più spesso all’estero chein Italia. Comunque la nostra Fondazione si prepara a celebrare, nel 2024, il centenario della nascita di Gigi con un festival a Venezia».
Nono si iscrisse al Pci nel 1952. Il partito ne ha sostenuto poderosamente la musica, ma quanto l’ha davvero apprezzata?
«Alle prime i dirigenti del Pci non mancavano mai e la stampa di partito, con Luigi Pestalozza in testa, le dava ampia visibilità. Al debutto diIntolleranza, nel 1961, venne Rossana Rossanda che, sebbene non troppo interessata alle questioni musicali, stimava Nono come uomo e artista.
Più che altro, a colpirla, erano i testi che lui utilizzava».
Però quel linguaggio sperimentale sconcertava i dirigenti
del Pci, che preferivano pop e rock...
«Reputavano il repertorio di consumo utile ad attrarre le masse.
Ma pure i compositori organici al partito dibattevano su visioni differenti dell’arte. Per esempio, uno influente come Mario Zafred puntava a scrivere pezzi di immediata comprensibilità».
Era quanto chiedeva la dottrina del realismo socialista...
«Infatti quando Nono viaggiava nei paesi dell’Est si scontrava con l’incomprensione dei capi dei partiti comunisti locali. Gigi capiva queste dinamiche, non se la prendeva.
Anche perché, in quelle nazioni, per i giovani musicisti lui rappresentava un punto di riferimento: a Mosca, Praga, Berlino Est accorrevano aconoscerlo. Lo stesso negli Usa.
Poiché non veniva visto come esponente di una fazione politica, ma come autore che esprimeva un pensiero sincero, non propagandistico».
Al Pci non lesinava critiche...
«Perché non ragionava con il paraocchi dell’ideologia. Quando non si trovava d’accordo su qualcosa, lottava per far valere le sue ragioni.
Proseguì così fino alla morte di Berlinguer, dopodiché smise di partecipare alla vita del partito».
Come vi prendeva parte, oltre che con le opere?
«Anche andando nelle fabbriche, affiancandosi alle lotte operaie. Così cominciò la collaborazione intellettuale con Massimo Cacciari,una sera che venne a cena da noi con alcuni suoi amici dell’area di Potere Operaio. A un certo punto la discussione si scaldò. Gigi parlava di testi che intendeva musicare, ma Cacciari lo interruppe: “Che ci importa di questi testi? Importa che tu sia domani a manifestare con gli operai di Marghera”. A quel punto non ci vidi più. “Se lui non avesse scritto quel che ha scritto, con i testi che ha impiegato, non sarebbe chi è, e la sua presenza davanti allo stabilimento risulterebbe inutile”».
A proposito di sodalizi duraturi, quello con Claudio Abbado è stato fondamentale.
«Abbado portò la musica di Nono alla Scala. Eravamo una sola famiglia.
Insieme andavano in barca,nuotavano, giocavano a calcetto, a tennis. Veniva anche Maurizio Pollini, per cui negli anni 70 Gigi compose...sofferte onde serene...».
Vero che l’Archivio Nono è a rischio sopravvivenza?
«Sempre più difficile tirare avanti.
Fino a qualche tempo fa a garantirne il maggior supporto erano i diritti d’autore derivanti dalle partiture di mio padre, che però adesso sono scaduti. Vi si conservano i manoscritti, la corrispondenza e i tredicimila volumi della biblioteca privata. Nono era un lettore onnivoro: non c’era giorno che non tornasse a casa con un libro nuovo.
Quelli che portava dai viaggi, insieme a manifesti, dischi, cibi di ogni parte del mondo, li mettevamo in mostranelle feste dell’Unità che allestivamo alla Giudecca».
Come prese suo marito la caduta del muro di Berlino?
«Felice. Sapeva che il flusso della storia non si interrompe».
Credeva in Dio?
«Era anticlericale, eppure verso i diciott’anni aveva scritto che l’unica speranza risiede in Cristo.
Quando morì, facemmo una commemorazione laica. Però in una chiesa, quella di Santo Stefano, il cui parroco ci accolse a braccia aperte dopo che il feretro era stato rifiutato dal Conservatorio di Venezia perché, ci venne detto, una cerimonia del genere non rientrava nella loro linea».