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 2022  luglio 02 Sabato calendario

La fine delle nazioni


«L’era dell’umanità non è ancora iniziata, ma l’era delle nazioni è finita». Colpisce il contrasto tra l’incipit dei Fondamenti della repubblica mondiale di Giuseppe Antonio Borgese – adesso pubblicato in edizione italiana da La nave di Te-seo, con una prefazione di Sabino Cassese e una postfazione di Gandolfo Librizzi – e la guerra in Ucraina. Mai come oggi le nazioni, con tutto il loro armamentario nazionalista, sembrano tutt’altro che finite, se hanno riportato la guerra nel cuore dell’Europa. Eppure, da un altro punto di vista, proprio questa deriva violenta conferisce una bruciante attualità all’ambizioso progetto di Borgese. Mai come oggi l’utopia di una pace tra Stati uniti in una federazione mondiale risuona come un monito e insieme una speranza.
Ma partiamo dall’inizio. Come mai un testo così importante di uno dei più brillanti intellettuali italiani del primo cinquantennio del Novecento ha atteso tanto per venire alla luce da noi? Una delle risposte sta nella formazione variegata, e anche eclettica, di Borgese. Nel settantesimo dalla morte e a centoquaranta anni dalla nascita, l’ampiezza d’orizzonte culturale di Borgese ne fa uno degli autori più prolifici e versatili della nostra recente tradizione. Professore universitario – il più giovane del Regno –, narratore, giornalista, diplomatico, poeta, Borgese nel 1931 diventa esule volontario in America. Andato oltreoceano per delle lezioni all’Università di Berkeley, in California, quando i docenti universitari italiani vengono costretti dalregime al giuramento al fascismo, decide di non rientrare in Italia, rinunciando perfino alla pensione.
A quel punto s’impegna in una esplicita militanza antifascista, attestata da due lettere rivolte a Mussolini. Assunta la cattedra di letteratura germanica e poi di estetica, insegna a Berkeley, Columbia, Chicago, proseguendo l’attività pubblicistica sul Corriere della sera, per cui scrive più di quattrocento articoli. Come ricorda Cassese nell’introduzione al volume, si lega ai maggiori intellettuali del tempo – da Salvemini a Croce, da Papini a Thomas Mann, del quale sposa, in seconde nozze, la figlia Elisabeth. Ma a caratterizzare la sua permanenza americana è soprattutto l’attività etico-politica, che ci riporta al volume adesso pubblicato. Dopo aver collaborato a una “Dichiarazione sulla democrazia mondiale”, nel 1943 scrisse Common Cause, un titolo che dette luogo ad una rivista durata vari anni. Poi, dopo la catastrofe di Hiroshima, costituì un comitato di dodici membri per scrivere un “Disegno per una Costituzione mondiale”, prefato da Thomas Mann.
Di esso iFondamenti della repubblica mondiale costituisce una sorta di elaborazione storico- filosofica, che avrebbe dovuto essere seguita da altri due volumi di carattere teologico e poetico. Il libro è diviso in tre parti, dedicate rispettivamente a una genealogia degli Stati nazionali – pervenuti ormai al loro esito ultimo – alla giustizia e al potere. Chi cercasse in questo ampio testo nozioni politologiche precise, resterebbe deluso. L’intenzione dell’autore era altra. In un quadro disegnato adampie pennellate – in cui s’incontrano Kafka e Dostoevskij, Freud e Pirandello, Platone e Campanella – si snoda un profilo della storia occidentale, in chiave profetica. Il problema, tutt’altro che risolto, che il libro pone è come sia possibile evitare conflitti di civiltà. Nella scrittura, a volte fluviale di Borgese – autore, fra l’altro, di uno dei più importanti romanzi italiani degli anni Venti, Rubè – s’incontra di tutto: elementi d’intensa riflessione, giudizi a volte attardati sul razzismo e il ruolo delle donne, ma anche considerazioni drammatiche sul mondo che, dopo il conflitto mondiale, andava spaccandosi in blocchi contrapposti, con i quali non abbiamo ancora finito di fare i conti.
Nulla più di quanto sta accadendo in Ucraina – dopo l’invasione della Russia – prova come la questione di un nuovo ordine globale, che si lasci alle spalle la guerra, sia all’ordine del giorno. Come il Kant della pace perpetua, Borgese è consapevole delle difficoltà del proprio progetto, sostenuto in quella stagione dai più consapevoli intellettuali. Dopo le speranze dell’immediato dopoguerra, la cortina di ferro e la guerra di Corea presto spengono le speranze in un mondo unificato dai valori della democrazia, della giustizia e della pace. La terra, sinistramente illuminata dal bagliore di Hiroshima e Nagasaki, è lontana dall’intraprendere un nuovo cammino. Al punto che ancora oggi si torna a parlare di atomica. Borgese non era un illuso. Come egli scrive in un saggio sul fascismo «questa è pura utopia». Ma aggiungendo, «che cos’è la terra dell’uomo se non il luogo predestinato all’utopia?».