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 2022  luglio 02 Sabato calendario

Bataclan, l’attesa penosa

Quasi niente da sperare a settimana passata era dedicata ai «piccoli» imputati, quelli che, paradossalmente, rischiano grosso. Alcuni sperano di essere assolti, tutti hanno paura di restare in carcere o, peggio, di tornarci. Suspense. I pesci grossi del processo (Ayari, Bakkali, Krayem, Abrini, Abdeslam), invece, hanno tutto da temere e quasi niente da sperare. Sanno che subiranno condanne pesanti e lo sanno anche i loro avvocati, ragion per cui le loro arringhe sembrano quelle di un soldato senza speranza di vittoria, che si batte solo per l’onore. Le più belle non sono necessariamente le più efficaci, ma quante speranze ci sono di essere efficaci quando i capi di imputazione sono così gravi e non ti stai rivolgendo a una giuria popolare, bensì a cinque magistrati di professione, che vi vedono arrivare e sanno già che cosa gli propinerete? Mi è piaciuto quello che ha detto alla corte l’avvocato belga di Abrini, Stanislas Eskenazi: «Una volta definiti i fatti, vi prego, toglietevi di dosso la toga. Condannate in quanto esseri umani, non in quanto magistrati. Altrimenti,non sarà una corte d’assise».
Il lanciatore di coltelli
Visto che la posta in gioco, penalmente parlando, è poca cosa, siamo stati liberi di apprezzare il talento. Ci chiedevamo a vicenda, durante le sospensioni delle udienze: «Ti è piaciuto?». Ognuno aveva i suoi preferiti, citerò due dei miei. Il primo è un altro avvocato belga, Isa Gultaslar, che difende Sofien Ayari. È un tizio alto e scheletrico, con il viso affilato come la lama di un coltello, che per tutto il processo non ha praticamente aperto bocca. Quando è venuto il suo turno, ha stupito tutti scendendo su un terreno dove nessun altro si era avventurato. Non proprio una difesa di rottura alla Vergès, ma quasi. È partito dalla storia di Hamza, un ragazzino siriano di 13 anni che nel marzo del 2011, all’inizio della Primavera Araba, scrisse su un muro «Verrà il tuo turno, dottore», riferendosi a Bashar al-Assad, che come noto è oftalmologo. Arrestato dalla polizia, Hamza venne torturato a morte, restituito alla sua famiglia col viso tumefatto, il corpo bruciato, il collo spezzato, il sesso tranciato. Un modo, per Isa Gultaslar, di ricordare che l’origine di quello che viene giudicato in questo processo è la barbarie del regime siriano e che quello che ha spinto tanti giovani musulmani come il suo cliente verso Daesh non è necessariamente la crudeltà o il fanatismo, ma una legittima indignazione politica. La causa degli attentati, sostiene Gultaslar, non è la religione, è la guerra. La Francia era impegnata in Siria, e questo si chiama essere in guerra, e i crimini commessi a Parigi dai combattenti di Daesh non dovrebbero essere giudicati in base alla legislazione nazionale sul terrorismo, ma in base al diritto internazionale sui conflitti armati. Dovrebbero dunque essere riclassificati come crimini di guerra. C’è qualche remota probabilità che questa richiesta venga presa in considerazione, a otto giorni dal verdetto? Potrebbe portare qualche beneficio a Sofien Ayari, che è già in guai serissimi? Me ne stupirei, ma abbiamo assistito a un’impressionante lezione di diritto, geopolitica e perizia oratoria. Quando l’udienza è stata sospesa, giravano delle voci su questo Gultaslar, che pochissimi conoscevano prima che prendesse la parola. Pare chefacesse parte di un comitato di sostegno belga per Oussama Atar, prima che quest’ultimo diventasse il responsabile delle operazioni estere di Daesh: è vero, ed è una cosa che accentua le sue somiglianze con Vergès. Prima di essere avvocato, faceva il lanciatore di coltelli nelle fiere di paese. Questo è Georges Salines che me l’ha raccontato, e ho capito che mi aveva preso per i fondelli quando ho trovato il coraggio di interrogare al riguardo l’interessato in persona. Con divertita cordialità, mi ha risposto di no, che non aveva fatto il lanciatore di coltelli e nemmeno l’ammaestratore di orsi in Bhutan. Ma è comunque il genere di persona per cui cose simili sembrano plausibili e quando, dopo l’udienza, ha fatto il suo ingresso alla brasserie Les Deux Palais, lo abbiamo applaudito.
Cameratismo
Visto che quel giorno ero assente, non so se Orly Rezlan sia stata applaudita ai Deux Palais, ma le ragioni non mancavano. È una delle avvocate di Mohamed Bakkali e devo confessare che non la trovavo particolarmente simpatica. Voce sgradevole, tono arcigno: durante la sua arringa non ha fatto nessuno sforzo per sedurci, esattamente come nei suoi interventi nel corso del processo. Via via che parlava, però, la sua austerità, la forza della sua convinzione, la sua collera monocorde, lancinante, sono salite di intensità senza che dovesse alzare la voce, una rampa dopo l’altra, fino a raggiungere una natura autenticamente ipnotica, tanto che Soren Seelow, l’esperto di terrorismo diLe Monde, ha azzardato l’aggettivo «estasiante», ed era appropriato. L’arringa di Orly Rezlan è stata estasiante. Implacabile, anche, e come quella di Isa Gultaslar apportava qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevamo sentito prima, e che non è, palesemente, una giustificazione, ma un elemento di spiegazione. Gultaslar ha messo l’accento sull’indignazione politica, Rezlan sulla cattiva coscienza che si accompagna sempre a ogni pratica religiosa intensa. Sono un bravo musulmano? Ho sostenuto abbastanza i fratelli in difficoltà? Quando altri soffrono e combattono, non è vergognoso fare l’imboscato? Sono interrogativi non da poco, ma Orly Rezlan non si è limitata a questo. Invece di citare Camus, come è stato fatto fino allo sfinimento, è andata a cercare un riferimento illuminante in Storia di un tedesco di Sebastian Haffner, uno deigrandi libri sull’ascesa del nazismo. Haffner, guarda un po’, era un giovane giurista che ha raccontato e cercato di comprendere come sia stato possibile che tanti giovani della sua generazione, che non erano né degli psicopatici né tantomeno degli estremisti, si siano lasciati ghermire dalla macchina dell’odio. Secondo lui, la molla per molti è stata il cameratismo: condividi un ideale, sei accomunato dall’indignazione, aderire ai valori del gruppo vuol dire dimostrare che sei una persona per bene. Sostenere che uno prende parte a degli attentati o a un genocidio perché è una persona di buon cuore è un terreno minato, ma che lo faccia per cameratismo sì, ha una sua logica.
L’ergastolo vero
Per finire, ci sono stati Martin Vettes e Olivia Ronen, i due giovani avvocati di Abdeslam. Pienone in aula. Sono stati bravi, molto bravi, e Olivia Ronen, nell’ultimo quarto d’ora, veramente ispirata. Hanno perorato la causa del loro cliente a lungo, coraggiosamente, ma la loro vera battaglia, quella che ha qualche possibilità di avere successo, è quella contro l’ergastolo senza possibilità di scarcerazione che è stato chiesto dalla pubblica accusa. Una leggenda vuole che Robert Badinter sia riuscito a strappare l’abolizione della pena di morte concedendo in cambio l’instaurazione di questo ergastolo «vero»: entri in carcere e non ne uscirai mai più. Non è vero, Badinter si è sempre rifiutato di sostituire un supplizio con un altro supplizio. E se questa pena estrema dal 1994 a oggi è stata comminata quattro volte, è stato nel caso di personalità sadiche ed estremamente perverse, di una pericolosità estrema, come Michel Fourniret. Abdeslam merita una pena severa, nessuno dice il contrario, ma non è Fourniret. Non è neanche Abdelhamid Abaaoud, e nemmeno Oussama Atar. Condannarlo a una pena simile, che è spaventoso, vorrebbe dire farsi beffe, in nome dell’esemplarità, del principio di proporzionalità della pena, ragion per cui Olivia Ronen ha concluso: «Se seguirete il parere della procura, il terrorismo avrà vinto».
Due rimpianti
È stata una caduta di stile che non mi è piaciuta. Opporsi alla procura è il ruolo della difesa e Olivia Ronen lo interpreta molto bene, con veemenza. Ma da un capo all’altro di un’arringa per il resto straordinaria è stata, più che sferzante, insultante, e questo mi ha rattristato. Si può giudicare il trio Hennetier- Braconnay-Le Bris eccessivamente severo nelle sue richieste di condanna. Mi auguro anch’io che i giudici non le accolgano, riguardo all’ergastolo «vero». Ma non si può dire che siano stati mediocri, demagogici, né tantomeno, come ha detto Olivia Ronen, «ignobili». No davvero. Al contrario, uno dei grandi pregi di questo processo è stato proprio il fatto che la pubblica accusa fosse di così alto livello. E visto che siamo arrivati ai rimpianti, eccone un altro. Le ultime parole del presidente del tribunale sono state per avvisarci che il verdetto, previsto per mercoledì 29 giugno dalle 17 in poi, verrà pronunciato probabilmente non prima di tarda sera. «So bene», ha aggiunto, «che questa attesa sarà penosa per le parti civili e disagevole per i mezzi di informazione, ma non abbiamo scelta». Benissimo anche qui, ma mi rattrista che abbia dimenticato che questa attesa sarà penosa anche per gli imputati.
(Traduzione di Fabio Galimberti)©