Robinson, 2 luglio 2022
Intervista a James Ellroy
Giancarlo De CataldoPoliziotti corrotti, politici corrotti città corrotte, sistema corrotto Il grande autore di classici come “American Tabloid” e “Dalia nera” si confessa a un suo “collega” e fan italiano E racconta come dietro ogni colpa si nasconda una feritaEstate 1989. James Ellroy, per la prima volta in Italia, è ospite d’onore del Mystfest di Cattolica, all’epoca il più prestigioso festival del giallo.Già un mito in patria, Ellroy è in giro a presentare Dalia Nera. Claudio G.Fava lo intervista in diretta per Radio Tre. Sul palco, accanto a lui, c’è un giovane autore inedito. Ellroy è scatenato. Si autodefinisce «il cane nero della letteratura americana», urla di essere venuto al mondo per turbare i nostri sonni, si accredita come l’unico, autentico erede di Dostoevskij. A un certo punto, il conduttore passa il microfono al giovane autore, che non riesce a spiccicare parola. Ellroy gli mette una mano sulla spalla e sussurra: «Non preoccuparti, lo spettacolo è per catturare l’attenzione, quello che conta è scrivere dei buoni libri». Quel giovane autore terrorizzato ero io. Quando glielo ricordo, James Ellroy, che ha accettato di rispondere a qualche domanda via telefono dal suo buen retiro di Denver, Colorado, accenna una delle sue rare risate. Sembra apprezzare.È di ottimo umore. Ma è anche un tipo fortemente imprevedibile. Non puoi mai sapere come andrà a finire, con lui.Una volta, in un teatro di Milano, sudavo freddo per la fatica di cavargli di bocca una risposta. Magari non aveva gran voglia di palcoscenico. È comprensibile, del resto: anche se sei diventato uno dei massimi scrittori viventi, hai pur sempre dentro di te la ferita di un’adolescenza turbolenta, segnata dall’assassinio della madre, vittima di un mai identificato serial-killer (storia ricostruita ne I miei luoghi oscuri, forse il suo libro più vero e straziante). Sta di fatto che neanche questa volta trovo il coraggio di ricordargli che poi, la mattina dopo quell’incontro a Cattolica, giocammo a ping pong e mi fece nero. Alla fine mi chiese, perentorio: «Mi hai fatto vincere, eh?». Ovvio che no, era molto più bravo. Mentii, ancora impaurito, e risposi che sì, l’avevo fatto vincere. «Hai fatto bene», tagliò corto. Meglio procedere con le domande.Ellroy e Los Angeles. Le propongo una sua riflessione, viene dallo scritto che accompagna “Un anno al vetriolo”, il libro fotografico in cui lei commenta alcune crude immagini della Los Angeles criminale del 1953: «I piani regolatori sono inutili. Le grandi città hanno una volontà loro propria, inarrestabile. La loro grandezza, la loro bellezza, la loro sfacciataggine attira una varietà spropositata di belve pronte alla razzia. Criminalità et similia non si possono sradicare”. LA non è certo sinonimo di città del crimine, ma il pensiero corre comunque al poliziesco. Quando ci sono andato, intorno al 2005,cercavo di ritrovare la L.A. di Ellroy: se ci fossi andato, diciamo, nel ’75 avrei cercato quella di Chandler. Qual è il segreto di uno scrittore che trasforma la Città degli Angeli nella Città della Notte?«È che io sono di Los Angeles, e se parlo di Los Angeles come ne parlo, il motivo è che per i primi 33 anni della mia vita non ho mai vissuto in nessun altro posto. Io sono nato per essere uno scrittore di gialli. Sono nato nel 1948 su Wiltshire Boulevard ma la Los Angeles che descrivo non è una città tutta nuova, selvaggia, in preda a fazioni di immigrati che si fanno la guerra.Questa mia distanza si deve al fatto che io scrivo sempre della Los Angeles del passato. Già da bambino, cioè quando era davvero il passato, ero fissato con il passato – il passato dell’America, il passato di Los Angeles – e lo sono ancora oggi. Quel passato lo rivendico in modo ossessivo perché tutto ciò che faccio lo faccio in modo ossessivo. E nei libri si vede».Ellroy e Hollywood. L’industria cinematografica ha rappresentato, fra l’altro, un formidabile strumento di penetrazione della cultura americana nel resto del mondo. Ma nei suoi romanzi, la Mecca del Cinema esce a pezzi. Le sue star grondano vizio, lussuria, depravazione. Eppure, non è possibile sottrarsi al loro fascino.«Quello della Hollywood corrotta è un tropo drammatico molto, molto vecchio. Io lo ritraggo in maniera concreta. Lo ritraggo sempre dal punto di vista di un poliziotto o di un ex poliziotto corrotto. Nel mio romanzo Panico, in particolare, ci sono grandi figure culturali che non mi piacciono per niente, quindi le metto alla berlina. Per esempio, l’attore James Dean non mi piace, quindi gli do giù; il regista Nicholas Ray non mi piace, quindi gli do giù; il filmGioventù bruciata non mi piace, quindi lo faccio a pezzi. Ma quel libro è una commedia. E non scriverò mai più un libro simile. Sappiamo tutti che cos’è Los Angeles, che cos’è Hollywood. Il punto sta nella forza ossessiva con cui la ritraggo: le descrizioni fisiche sono pochissime, e i miei personaggi, che sono ossessionati, vivono i loro drammi di ossessione su questo sfondo, perché l’ho fatto io».A volte lei fa i nomi. Nomi famosi. Tizio è cocainomane, Caio è un assassino, Sempronio è sessualmente depravato. Sembra nutrire in particolare un’avversione specifica per Orson Welles. In “Questa Tempesta”, Welles è dipinto come un infervorato e talentuoso dilettante al servizio della “causa rossa”, autore di film porno con grandi nomi dello schermo che il suo psicanalista, a sua volta corrotto e spione, in spregio a ogni etica professionale, giudica decisamente più riusciti di“Quarto Potere”.«L’ho spiegato più volte: non mi piaceva, né come uomo né come artista. Ma non credo che fosse comunista. Semmai, genericamente di sinistra».Ma non ha mai avuto problemi legali con gli eredi dei diretti interessati? Da noi una libertà simile è impensabile!«In America gli eredi non hanno diritti legali. Quando una persona muore, si fa punto e a capo».Ellroy e la polizia. Più sono cattivi, imperfetti, qualche volta diabolici, più gli sbirri di Ellroy ci raccontano le cose più profonde su noi stessi.«Beh, prima di tutto, io amo i poliziotti, indipendentemente da quello che fanno. Li amo e basta. Li ho sempre amati. Il giorno in cui mia madre èstata uccisa, un poliziotto mi ha comprato una barretta di cioccolato a un distributore automatico dentro il commissariato. Da allora, io sto con i poliziotti».Qui s’impone un’altra citazione made in Ellroy: «Si ritiene di solito che ogni città abbia il dipartimento di polizia che si merita. È proprio così. È la città più provocatoria d’America e si è meritata la forza di polizia più provocatoria d’America».«Corrotti o meno, i poliziotti sono i miei uomini. Io sono un tipo legge e ordine, sono favorevole alle armi, credo nella pena di morte: questi per me sono principi incrollabili.
Quindi, sì, i poliziotti possono fare cose orribili, ma alla fine il lettore, il lettore americano, il lettore italiano, tifa per loro, perché li ritraggo con grande amore anche se sono cattivi».Ellroy e la stampa scandalistica. Come si fa a convincere quel povero lettore a parteggiare per i cattivi come Freddie Otash, l’investigatore privato realmente esistito che si dice abbia ispirato il J.J.Gittes di “Chinatown” (come dimenticare la meravigliosa interpretazione di Jack Nicholson), uno che per mestiere rovina vite e carriere a colpi di gossip e montature?«Si mostra, si dà al lettore l’anima di questa persona, la sua colpa, la colpa del ragazzo innocente che uccide all’inizio diPanico.Si vede che per le donne ha un debole, anzi: con le donne è proprio un fesso che si innamora in modo indiscriminato. Come si fa a non amare uno così?Però nel frattempo mette cimici nei bagni pubblici per scoprire gli altarini nascosti delle persone. Io voglio conoscerli, quegli altarini».Ellroy e la Storia. Quando si trova alle prese con uno snodo di trama che potrebbe raccontare una versione diversa della storia americana (penso soprattutto a “Sei pezzi da mille” e “Il sangue è randagio”), come si regola? Vince la trama, il dramma, o è disposto a sacrificare una bella scena e magari un bel personaggio per restare più aderente alla verosimiglianza?«È tutta verosimiglianza, una verosimiglianza che definirei spericolata. Quando si descrivono grandi eventi storici come la guerra del Vietnam, si ha l’obbligo, come l’ho avuto io inSei pezzi da millee in Il sangue è randagio,di assicurare un certo grado di accuratezza; ma poi, naturalmente, ho tirato fuori cose pazzesche.Sappiamo che John F. Kennedy è stato ucciso a Dallas il 22 novembre 1963: per me è sufficiente.La vita di quasi tutte le persone, comprese quelle molto celebri, si svolge dietro le quinte: non sappiamo che cosa stessero facendo John F.Kennedy o Martin Luther King alle 11 di sera di un certo giorno, quindi… me lo invento. Ciò che faccio io è riscrivere la storia americana secondo le mie esigenze. E l’unica domanda cui non rispondo mai è: “Che cosa è reale e che cosa no?”Non voglio che il lettore lo sappia. Quanto all’esattezza delle affermazioni, non sono mai stato troppo esigente: se qualcuno mi dice che un tale è uno stupratore, gli credo e basta. Perché è una vita che leggo narrativa o la scrivo».Ellroy e l’America. Una volta lei mi ha detto: per me non esiste altro che l’America. Tutto il resto non m’interessa. È proprio vero?«Sì, sì. A volte, visto che parlo inglese, immagino di ambientare un dramma poliziesco nelle isole britanniche, visto che lì tutti parlano inglese, anche se guidano dalla parte sbagliata della strada. Ma poi non succede. Ce l’ho nel Dna… Ho ambientato scene a Cuba, ho ambientato scene in Vietnam, ho ambientato scene a Haiti e nella Repubblica Dominicana, anche se nella maggior parte di questi posti non sono mai stato (sono stato in Messico: infatti neLa tempesta,per esempio, c’è una serie di scene ambientate in Messico). Però ho immaginazione. Ho un’enorme capacità di inventare, e alla fine ciò che faccio è questo: invento».Ellroy e la letteratura. C’è un modo di scrivere prima di Ellroy e uno dopo Ellroy. Io l’ho sentita dire di essere l’erede di Dostoevskij e poi di non averlo mai letto. Me lo toglie, una volta per tutte, questo dubbio?«Guardi, a definirmi “il Dostoevskij americano” è stata Joyce Carol Oates: direi che è un bel complimento. Ora, Dostoevskij non l’ho mai letto, ma come me era un uomo religioso, vedeva ovunque empietà e peccato, e ha detto una frase grandiosa: “Dove non c’è Dio, tutto è lecito”.Questo è senz’altro il mio motto. E così questi miei cattivi – il più delle volte si tratta di poliziotti – pur con mille difficoltà, puntano alla presenza di Dio, e lo fanno in modo molto radicale ma molto simile a quello di chi sta morendo di sete e ha bisogno di bere un po’ d’acqua».Va bene, lasciamo stare Dostoevskij. Ci sarà pure qualche autore che l’ha influenzata?«Mi ha influenzato la narrativa poliziesca. I romanzi di Joseph Wambaugh (che ho letto negli anni Settanta, quando me la passavo molto male) mi hanno commosso e al tempo stesso sono stati una bella strigliata per la mia condotta schifosa.Mi ha influenzato la narrativa gialla intesa in senso lato: il romanzo di intrigo realistico, ilpolicier,dove contrappongo uomini cattivi innamorati di donne forti sullo sfondo di enormi indagini di polizia. Ecco che cosa mi ha ispirato».Ellroy, il cinema, la televisione. Che rapporto ha con le riduzioni cine e tv delle sue opere?«Secondo me valgono poco. Penso che L.A.Confidential faccia schifo, e poco importa quanti premi ha vinto. In fondo, ti pagano per non fare nulla. Per me è un vantaggio enorme: ho già scritto il libro. Intendo dire che un buon film mi dà piacere, ma anche un buon hamburger mi dà piacere, però se non potessi mai più mangiare un hamburger, starei bene lo stesso, e anche se non potessi mai più vedere un film, starei bene lo stesso. Invece mi piacciono molto i podcast.Adesso sta per uscire un podcast in 12 parti. Uscirà sulla rete Audible. La voce narrante è la mia, e si tratta della versione integrale, non purgata, anche se il linguaggio è molto crudo. Sono effettivamente 12 ore di radio. È il mio grande librosui cinque anni che hanno preceduto l’assassinio di Kennedy. Uscirà il 22 novembre di quest’anno ed è completo... completo come non potrebbe mai essere un film o una serie televisiva. Niente digressioni. Il linguaggio non è censurato.Insomma, è una lettura parola per parola del libro che ho scritto. Questo mi emoziona e per questo ho partecipato direttamente alla sua realizzazione. I miei dialoghi sono letti da ottimi attori. La musica è di quel periodo. Gli effetti sonori sono formidabili. Penso che in futuro la forma del romanzo sarà questa forma audio.Secondo me, i film e gli spettacoli televisivi sono out, il podcast è in».Posso chiederle, in chiusura, se riconoscequalche suo discendente letterario? Un erede di Ellroy?«Non lo so, perché non leggo i contemporanei.Leggo solo libri che ho letto trenta o quarant’anni fa, o rileggo vecchi romanzi polizieschi. Non so cosa succede oggi. So che nessuno scrive libri grossi come i miei, grossi in un modo impossibile. A voler accostare un aggettivo alla parola “romanziere”, direi che sono un romanziere storico. Ma potremo parlarne la prossima volta, a Roma o a Milano. Verrò per il nuovo libro, che uscirà fra poco».