La Lettura, 2 luglio 2022
Il mistero di Agatha Christie
La sera del 3 dicembre 1926, alle ore 21.45, Agatha Christie uscì in macchina e scomparve misteriosamente. L’auto fu ritrovata sul ciglio di un dirupo, e della scrittrice, allora già celebre ma appena all’inizio della sua trionfante carriera, non si ebbe più notizia fino al 14 dicembre, quando riapparve altrettanto misteriosamente nell’albergo appartato di una località termale. Fu un vero «caso», che in quegli 11 giorni suscitò grande scalpore sui giornali, mobilitando la polizia in una ricerca che si estese a tutta l’Inghilterra. Una ridda di ipotesi prese corpo intorno al destino della romanziera scomparsa, dal suicidio al sospetto uxoricidio: era noto infatti il probabile motivo della fuga, ovvero la drammatica crisi del suo matrimonio con il colonnello Archie Christie, che doveva averle comunicato da poco l’intenzione di divorziare per sposare la giovane amante Nancy. Ci fu addirittura chi pensò a una semplice trovata pubblicitaria, per lanciare i romanzi della scrittrice ancora giovane. Nessuno comunque seppe mai la verità, nemmeno quando Christie riapparve, incolume: in perfetto silenzio, la scrittrice affrontò il divorzio e continuò la sua vita, diventando la più famosa giallista del suo tempo e forse di sempre, sposando in seguito il noto archeologo Max Mallowan, vero grande amore della sua vita, senza mai rivelare il segreto di quei giorni.
Ora la scrittrice e docente americana Nina de Gramont ha deciso di andare a fondo della celebre sparizione e di raccontarne una versione, a metà tra storia e finzione, nel libro Il caso Agatha Christie. Il romanzo narra la storia dal punto di vista più inatteso possibile, quello dell’amante del colonnello Christie, qui chiamata familiarmente «Nan»: scelta singolare ma azzeccata, visto che il mistero di Agatha, almeno nella ricostruzione (molto) fantasiosa di de Gramont, è assai più oscuro e complesso di quanto ci si aspetti, e lo sguardo curioso ma smaliziato della rivale in amore sembra soppesare gli indizi con una certa lucidità. Intanto, chi è Nan? Agli occhi dei contemporanei, è un’arrampicatrice sociale, la bella segretaria di un amico del colonnello Christie, che si è introdotta in qualche modo nell’ambiente dell’alta società, ha attirato Christie giocando con lui sui campi da golf, e l’ha sedotto con la sua presenza fresca, vivace e gioviale. Tutto l’opposto dell’austera e flemmatica Agatha, già trentaseienne, madre matura, ormai impegnata a tempo pieno nel suo lavoro di giallista (e del tutto inetta a golf).
Il lettore scopre a poco a poco che Nan, liquidata nel ruolo della rovinafamiglie, ha invece tutt’altra storia: è una vittima, una giovane che ha un passato di dolore, di povertà e di sofferenza, e ha avuto alla fine dell’adolescenza un amore travolto dalla lontananza, dalla guerra e dall’influenza spagnola, con un coetaneo irlandese. Una condizione aggravata dalla maternità e dal destino riservato all’epoca alle ragazze madri di umili origini: la reclusione in un convento per partorire di nascosto, le angherie subite, le perfide suore guardiane (che si chiamano tutte Mary, come se il male non avesse identità) che sottraggono i neonati alle ragazze, le violenze messe a tacere, la minaccia di finire in una delle famigerate «case Magdalene», atroci istituti di reclusione per donne «perdute», infine la fuga e la nuova vita a Londra. Senza la creatura appena partorita.
Insomma, Nan è tutt’altro che una bambola frivola, almeno nel romanzo. È la stessa ragazza a rievocare a poco a poco il proprio passato: Nan si è momentaneamente allontanata dal colonnello nei giorni tesi della scomparsa di Agatha e delle indagini, per evitare altri pettegolezzi e per raccogliere le idee; una «vacanza» forzata lontano dalle chiacchiere, in attesa che si calmino le acque, guarda caso in un albergo appartato, in una località termale un po’ fuori moda. Il luogo è di quelli che Hercule Poirot avrebbe amato molto: popolato di bizzarri villeggianti inglesi, di americani dal passato oscuro e di strane coppie male assortite, ospita non solo la pensierosa Nan, ma anche uno dei poliziotti incaricati della ricerca di Agatha Christie, l’ispettore Frank Chilton. Come in un romanzo di Christie, l’opera del poliziotto si rende presto indispensabile, visto che un duplice omicidio sconvolge la quieta routine dell’albergo: una coppia di goffi attempati coniugi viene avvelenata da una mano misteriosa, e le indagini consentono al segugio Chilton di avvicinare Nan, di farsela amica, di carpirle qualcuno dei suoi segreti, fino a comprendere che è in qualche modo legata alla famiglia Christie. La situazione si complica quando nell’albergo compare anche l’irlandese, l’antico amante di Nan, che rivede la vecchia fiamma e conduce l’acuto Chilton fino a una villa vicina e a una scoperta sconvolgente. Sarà la prima di una lunga serie di rivelazioni e colpi di scena, per il lettore: ma è impossibile rivelare oltre l’intreccio senza scardinare il meccanismo a chiave congegnato da de Gramont.
Se la giovane Nan conquista a poco a poco la simpatia del lettore, non è da meno l’autonoma, indipendente, orgogliosa Christie che spunta dalle pagine: le due donne sono «rivali» nel libro, per più di un motivo, ma hanno entrambe lo spessore delle eroine, intrappolate nel ruolo che la società dell’epoca riserva loro (la moglie invecchiata, l’amante frivola), ma decise a ottenere giustizia e riscatto. La grinta delle due donne, i loro caratteri diversi, la diversa visione del mondo dalle due prospettive contrastanti, sono la molla narrativa che muove il racconto insieme alla trama gialla e al mistero dei giorni di «fuga» della scrittrice. Altri elementi di interesse: la ricostruzione del periodo storico in cui è ambientato il romanzo, ad esempio, molto ricca. L’omaggio continuo allo stile di Christie e alle «cellule grigie» dei suoi investigatori. O la bizzarria tutta primo-novecentesca delle indagini intorno alla scomparsa di Christie: de Gramont inserisce nella trama anche le (vere) investigazioni condotte in quei giorni da due dei più grandi autori di gialli del tempo, sir Arthur Conan Doyle e Dorothy L. Sayers. I due giallisti, celeberrimi, decisero davvero di collaborare alle ricerche e ottennero dagli investigatori carta bianca. Con quali risultati? Nessuno: Conan Doyle era ormai un convinto spiritista e agli spiriti si rivolse per risolvere il caso (senza ottenere risposte utili) e Sayers si disse assolutamente certa, visti gli indizi a disposizione, che Christie fosse ormai morta.
Seria, invece, e fondamentale nella trama, la ricostruzione della condizione femminile negli anni Venti, l’evocazione delle «case Magdalene» e di altre istituzioni simili, nate per dare ospitalità a orfane o diseredate, e diventate luoghi di reclusione e atrocità. E godibile, infine, il tono «giallo» della narrazione, che rivela tracce a ogni pagina, insinua sospetti e semina false piste, ma offre al lettore anche un indizio da seguire per risolvere almeno uno dei misteri del libro. L’indizio sta in una frase della vera Agatha Christie, citata in uno degli esergo e tratta da un romanzo con Hercule Poirot: «Il male non rimane mai impunito, Monsieur. Ma a volte la punizione rimane segreta».