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 2022  luglio 02 Sabato calendario

Sesso e consenso, una questione politica

Il sesso è stato, per secoli il punto cieco di morale e politica. Entrambe, infatti sembravano sforzarsi di rendere questa esperienza inaccessibile o colpevole. Si trattava assieme di reprimerlo e di un’apparenza di insignificanza etica e sociale. Da questo punto di vista, la rivalutazione che ha avuto luogo prima con Freud e la psicoanalisi poi con la rivoluzione degli anni Sessanta e la filosofia ispirata a Michel Foucault non sembra aver prodotto grandi mutamenti. La negazione della natura politica e morale era la condizione di possibilità della sua esaltazione: il sesso poteva essere posto di nuovo al centro dell’immaginazione collettiva solo in quanto forza di dissoluzione di ogni ordine politico e morale, come spazio di liberazione da ogni forma di norma individuale e collettiva.
È stata la riflessione femminista – e le conseguenze politiche e giuridiche che si sono manifestate, per esempio, nel movimento del #MeToo – a correggere in un duplice senso questa strana dissociazione tra sesso e politica e morale. Il femminismo ha mostrato che la repressione, così come la liberazione fossero entrambe forme del dominio del genere maschile su quello femminile. La repressione sessuale è stata soprattutto una repressione del genere femminile. D’altra parte, non solo «per le donne la liberazione sessuale non è avvenuta», ma essa non può avvenire fino al momento in cui il sesso non diventi l’oggetto per eccellenza della riflessione morale.
È questo il compito che si pone un libro rivoluzionario, appena pubblicato da Einaudi e che ha ricevuto qualche giorno fa il prestigioso premio dei “Rencontres philosophiques” di Monaco (l’equivalente del Goncourt per la filosofia). A scriverlo è stata la più innovativa e interessante filosofa francese contemporanea, Manon Garcia, che dopo il dottorato alla Sorbona ha compiuto soggiorni di ricerca a Chicago e Harvard, ha insegnato a Yale ed è stata appena nominata professoressa alla Freie Universität di Berlino.
L’idea alla base di Di cosa parliamo quando parliamo di consenso di Garcia è duplice. Da una parte si tratta di combattere «l’idea che la sessualità sia esterna alla morale, che il sesso sia un campo di battaglia regolato esclusivamente dallalegislazione contro le violenze sessuali». Se il sesso resta ancora, dopo la liberazione sessuale degli anni Sessanta, lo spazio della diseguaglianza e del dominio di genere è perché esso non è stato pensato moralmente, ma solo attraverso il diritto. Per questo, piuttosto che continuare a chiedersi cosa sia necessario evitare di fare, Garcia articola per la prima volta «la questione morale di cosa sia, positivamente, il buon sesso». La ragione è semplice: «se si comprende che la morale ha la funzione di valutare la qualità delle nostre azioni, non c’è motivo di pensare che le norme morali abituali non debbano applicarsi tra persone che si amano o che hanno rapporti l’una con l’altra. Al contrario, la vulnerabilità creata dai sentimenti amorosi e affettivi richiede un’attenzione maggiore». La morale inizia con il sesso perché è in questa esperienza che si dà a conoscere la totalità psichica e corpore di un individuo umano.
Per fare questo, è necessario innanzitutto liberarsi del «riflesso puritano che cerca di salvaguardare un presunto mistero del sesso». Il fatto di non averlo mai pensatocome fatto morale – anzi come il fatto morale per eccellenza – lo ha trasformato in qualcosa di puramente biologico o animale. È cosìquando lo si riduce ancora all’esperienza in cui il piacere è massimizzato. Per Garcia, invece, si tratta di mostrare che il sesso è la base della moralità umana perché è il luogo, per eccellenza, in cui «un essere umano fa l’esperienza corpore, canale di ciò che egli è in tutta lasua ambiguità». Per questo Garcia propone di cogliere l’esperienza sessuale come una conversazione: quella forma speciale di dialogo in cui non ci si è dati uno scopo prefissato e non si può mai sapere cosa accadrà a se stessi come all’altro. Non è un caso che si tratti di un concetto che aveva informato la riflessione moralista francese del diciassettesimo secolo. È solo nel sesso inteso come conversazione che è possibile comprendere e fare esperienza infatti della «complessità del desiderio, il fatto che non si può sapere con precisione che cosa si vuole o non si vuole prima che si presenti il momento».
La seconda, grande idea del libro, è che «nel sesso c’è qualcosa di specifico» anche politicamente. Attraverso il sesso infatti si dà a conoscere una forma di consenso particolare, diversa da quello giuridico (la dichiarazione di una volontà attraverso la stipulazione di un contratto) ma anche da quello politico (il fatto che si acconsente a un regime che è già in essere). Il consenso morale, e non puramente legale o politico, che ha luogo in due corpi che conversano sessualmente è un gioco in cui l’azione di ciascuno dei due attori esprime la sua umanità, la sua dignità, la sua moralità, ma rende anche possibile l’espressione di quella dell’altro.
Sarebbe difficile immaginare una prospettiva più rivoluzionaria. Non si tratta più di dire che il sesso è politico: si tratta di comprendere che solo quando la morale partirà dal sesso e dall’erotizzazione dell’uguaglianza la vita politica potrà, di nuovo, tornare a essere giusta.