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 2022  luglio 02 Sabato calendario

Intervista a Tananai

«Mio nonno Pino ci aveva azzeccato. Sono ancora un tananai». Parola in uso nei dialetti del nord che, dice la Treccani, definisce una «gran confusione e schiamazzo di gente che ciarla e grida», spesso usata per indicare dei bambini vivaci. «Mi chiamava così, non ero uno tranquillo. È morto quando avevo 7 anni, il nome d’arte è un omaggio all’unico che non ho stressato con la mia musica».
Alberto Cotta Ramusino, Tananai appunto, è riuscito a ribaltare l’ultimo posto a Sanremo con «Sesso occasionale» in una vittoria grazie a una serie di post e battute che ne hanno fatto scoprire la personalità brillante e autoironica. Tanta era la fame di sua musica che è andata ancora meglio a «Baby Goddamn», passata inosservata un anno prima. Da lì concerti sold out, un’estate nei festival con lo scudetto da tormentonista per «La dolce vita» insieme a Fedez e Mara Sattei, la nuova «Pasta» uscita ieri e un’agenda che si allunga al 2023 con date già fissate nei club.
Carta d’identità?
«Persa da anni... uso patente e passaporto. Comunque, nato a Milano l’8 maggio 1995 e cresciuto a Cologno Monzese. Fino a che non ho avuto il motorino, la metropoli sembrava distante. Vita di periferia tranquilla, senza problemi. Al massimo qualche “ciccione” e qualche spintone quando ero un ragazzino obeso. Non direi bullismo, nulla rispetto ai tweet di Sanremo».
Obeso lei?
«Alle medie ero 1 metro e 50 per 82 chili. Adesso 1 e 82 per 76. Ho anche saltato qualche mese di scuola per non farmi vedere: ero pure in carrozzina per un problema a un ginocchio. Ho iniziato a mangiare bene, gli ormoni mi hanno fatto crescere e in terza, quando ho iniziato a piacere alle ragazzine, pensavo mi prendessero in giro».
Famiglia?
«Papà dentista, mamma organizza lo studio. Stanno insieme da 30 anni e da 20 sono 24 ore su 24 insieme sul lavoro. Ogni tanto litigano, ma ho la fortuna di vedere una bella forma di amore».
L’amore per lei?
«Non ho fretta di crescere o l’ansia di raggiungere una condizione. Quando a 20 anni sono uscito di casa, sono andato subito a convivere con una ragazza. Ho fatto una cazzata. Quando è finita ho scritto “Giugno”, un brano triste. Quel brano mi ha fatto capire che scrivere è un mezzo di espressione, è terapeutico».
Storia di Tananai artista?
«Il primo contratto è arrivato come produttore di musica elettronica sperimentale col progetto Not for Us. Ero troppo saccente: pensavo che solo la musica complessa potesse essere valida. Ho messo un macigno su quell’esperienza ed è nato Tananai quando una vocal coach mi ha detto che avevo una bella voce».
La bella voce a Sanremo non si è sentita molto...
«Mi sono incazzato. Non per le critiche, ma con me stesso. Pensavo di aver bruciato un’occasione. Dopo la prima serata ero felice che fosse uscita la voce. All’università mi veniva la lingua felpata a parlare in pubblico... Invece quella notte mi sono svegliato, ho preso il cellulare e ho visto il diluvio di critiche. Ho pensato “all’Italia non piaci”».
Quando ha capito che il vento era cambiato?
«Il giorno dopo il ritorno a casa: mi chiama il mio manager e mi dice che tutti mi vogliono. Il vero cambiamento però è stato con “Baby Goddamn”. Fino a quel momento temevo di saltare fuori solo come personaggio. La gente mi fermava per strada e mi diceva “vorrei prendere la vita come tu hai preso Sanremo” e nessuno parlava delle canzoni. Mi aveva messo sull’avviso Stefano Bonaga, il filosofo: “attento a non diventare il personaggio di te stesso”».
Le chiacchiere col filosofo, in «Bidet» cita Moretti e Dostoevskij... Ci è o ci fa?
«Amo gli scrittori russi e di Dostoevskij ho letto tutto. La sua arte rispecchia l’evoluzione dell’uomo, ha indagato sui rapporti dall’alto all’infimo».
Il tormentone dell’estate è «La dolce vita»?
«La gente mi ha conosciuto con i pezzi solari e nella vita sono così. Nella canzoni per contrasto tendo all’introspezione. Per me il mercato estivo era uno spettacolo da guardare... per la mia parte sono partito dalla cosa meno estiva di tutte, “Oktober Fest”. Pensavo mi dicessero “vabbè dai, non se fa nulla” e invece...»
Il tuo tormentone?
«“Estate” dei Negramaro. Mi ricorda la prima volta che mi sono innamorato da ragazzino e anche il primo palo... Non avevo mai provato quella sensazione e ogni volta che sento quella canzone tornano le farfalle nello stomaco».
Rifarebbe Sanremo?
«Non ci puoi andare solo per manie di protagonismo, altrimenti è come con la droga, a un certo punto finisce».
A proposito, «Pasta» è un riferimento all’ecstasy?
«Noooo (sgrana gli occhi). A volte bevo, ma sono straight edge sulle droghe. Ti fanno perdere la percezione e cambi personalità: non voglio ricordarmi di situazioni vissute da uno che non è Alberto».