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 2022  luglio 02 Sabato calendario

Intervista a papa Francesco

Francesco a colloquio con l’agenzia di stampa argentina Télam: va rivisto il concetto di «guerra giusta». L’Onu è impotente Le frasi sull’Ucraina e Putin? «Sono state estrapolate». Le riforme del pontificato? «Non mie ma stabilite prima del Conclave»
Papa Francesco ha concesso un’ampia intervista all’agenzia di stampa nazionale argentina Télam. Pubblichiamo alcuni stralci del dialogo con la presidente dell’organo d’informazione.


Francesco, lei è stato una delle voci più importanti in un periodo di grande solitudine e paura nel mondo durante la pandemia. (...) Come pensa che ne stiamo uscendo? Dove siamo diretti?Non mi sta piacendo. In alcuni settori c’è stata una crescita, ma in generale non mi piace perché è diventata selettiva. Guarda, il fatto stesso che l’Africa non abbia i vaccini o abbia le dosi minime significa che la salvezza della ma-lattia è stata dosata anche in base ad altri interessi. Il fatto che l’Africa abbia così tanto bisogno di vaccini indica che qualcosa non ha funzionato. Quando dico che non si esce mai uguali, è perché la crisi inevitabilmente ti cambia. (...) La presunzione che un singolo gruppo possa uscire dalla crisi sul momento ti può dare una salvezza, ma è una salvezza parziale, economica, politica o di alcuni settori del potere. Ma non se ne esce completamente. Resti imprigionato dalla scelta di potere che hai fatto. Ad esempio, l’hai trasformata in un affare o ti sei rafforzato culturalmente durante la crisi. Usare la crisi a proprio vantaggio significa uscirne male e, soprattutto, uscirne da soli. Dalla crisi non si esce da soli, si esce correndo rischi e prendendo l’altro per mano. Se non lo fai, non puoi uscirne. Quindi, questo è l’aspetto sociale della crisi. È una crisi di civiltà. E si dà il caso che anche la natura sia in crisi. Ricordo che qualche anno fa ho ricevuto diversi capi di governo e capi di Stato dei Paesi polinesiani. E uno di loro ha detto: «Il nostro Paese sta pensando di comprare terre a Samoa, perché tra 25 anni forse non esisteremo più perché il mare si sta alzando tanto». Non ce ne rendiamo conto, ma c’è un detto spagnolo che deve farci riflettere: Dio perdona sempre. Siate certi che Dio perdona sempre e noi uomini perdoniamo di tanto in tanto. Ma la natura non perdona mai. La fa pagare. Usi la natura, e lei ti travolge. Un mondo surriscaldato ci allontana anche dalla costruzione di una società giusta e fraterna. (...)
Giovani e politica
I giovani, come sottolinea, sembrano avere una maggiore consapevolezza ecologica. Ma anche quando si tratta di votare, la partecipazione è molto bassa tra gli under 35.
Hai toccato un punto difficile, ovvero il disimpegno politico dei giovani: perché non si impegnano in politica, perché non se la giocano? Perché sono come scoraggiati. Hanno visto – non dico tutti, per carità – situazioni di accordi mafiosi e di corruzione. Quando i giovani di un Paese vedono, come si suol dire, che «ci si vende perfino la madre» pur di fare un affare, allora la cultura politica si abbassa. Ed è per questo che non vogliono mettersi in politica. Eppure abbiamo bisogno di loro perché sono loro a dover proporre la salvezza della politica universale. E perché la salvezza? Perché se non cambiamo il nostro atteggiamento nei confronti dell’ambiente, andiamo tutti a fondo. (...) Per questo dico ai giovani che non si tratta solo di protestare, ma che devono anche trovare il modo di farsi carico dei processi che ci aiuteranno a sopravvivere. (...) Ho molta fiducia nei giovani. «Sì, ma non vengono a Messa!», mi dice un sacerdote. Rispondo che dobbiamo aiutarli a crescere e accompagnarli. Poi Dio parlerà a ciascuno di loro. Ma dobbiamo lasciarli crescere. Se i giovani non sono i protagonisti della storia, siamo fritti. Perché sono il presente e il futuro. (...)
Tempi di guerra
Già nel 2014 lei sosteneva che il mondo stava entrando in una terza guerra mondiale e oggi la realtà non fa che confermare le sue previsioni.
L’espressione che ho usato allora è stata «guerra mondiale a pezzi». Quello che accade in Ucraina lo viviamo da vicino e per questo ci preoccupiamo, ma pensiamo al Rwanda 25 anni fa, alla Siria 10 anni fa, al Libano con le sue lotte interne o al Myanmar oggi. Quello che stiamo vedendo sta accadendo da molto tempo. Una guerra, purtroppo, è una crudeltà al giorno. In guerra non si balla il minuetto, si uccide. E c’è un’intera struttura di vendita di armi che la favorisce. Qualcuno esperto di statistiche mi ha detto, non ricordo i numeri, che se non si fabbricassero armi per un anno, non ci sarebbe più fame nel mondo. Credo sia giunto il momento di ripensare il concetto di «guerra giusta». Ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato. Ho affermato che l’uso e il possesso di armi nucleari sono immorali. Risolvere le cose con una guerra significa dire no alla capacità di dialogo, di essere costruttivi, che gli uomini hanno. Questa capacità di dialogo è molto importante. Esco dalla guerra e passo al comportamento comune. Pensa a quando stai parlando con qualche persona e, prima che finisci, ti interrompe e ti risponde. Non sappiamo ascoltarci. Non permettiamo all’altro di dire la sua. Bisogna ascoltare. Ascoltare quello che dice, ricevere. Dichiariamo guerra prima, cioè interrompiamo il dialogo. Perché la guerra è essenzialmente una mancanza di dialogo. Quando sono andato a Redipuglia nel 2014, per il centenario della guerra del 1914, ho visto l’età dei morti nel cimitero e ho pianto. Quel giorno ho pianto. Il 2 novembre, qualche anno dopo, sono andato al cimitero di Anzio e quando ho visto l’età di quei ragazzi morti, ho di nuovo pianto. Non mi vergogno di dirlo. Che crudeltà. (...)
L’Onu impotente
Forse gli organismi multilaterali stanno fallendo di fronte a queste guerre?
Dopo la seconda guerra mondiale c’era molta speranza nelle Nazioni Unite. Non voglio offendere, so che ci sono ottime persone che lavorano, ma su questo punto non hanno il potere di imporsi. Contribuiscono sì a evitare guerre, e penso a Cipro, dove ci sono truppe argentine. Ma per fermare una guerra, per risolvere una situazione di conflitto come quella che stiamo vivendo oggi in Europa, o come quelle vissute in altre parti del mondo, non hanno alcun potere. Senza offesa. È solo che la costituzione di cui dispongono non danno loro potere. (...) In questo momento servono coraggio e creatività. Senza questi due elementi, non avremo istituzioni internazionali che possano aiutarci a superare questi gravissimi conflitti, queste situazioni mortali di morte.
Il pontificato
Nel 2023 ricorreranno 10 anni dalla sua elezione, un anniversario ideale per tracciare un bilancio: è riuscito a realizzare tutti i suoi obiettivi?
Le cose che ho fatto non le ho inventate né sognate dopo una notte di indigestione. Ho raccolto tutto ciò che i cardinali avevano detto nelle riunioni pre-conclave che il prossimo Papa avrebbe dovuto fare. Poi abbiamo detto le cose che dovevano essere cambiate, i punti che dovevano essere toccati. Quello che ho messo in moto è stato quello che mi è stato chiesto. Non credo che ci sia nulla di originale da parte mia, ma ho avviato ciò che avevamo deciso tutti insieme. Ad esempio, la Riforma della Curia si è conclusa con la nuova Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, con la quale, dopo otto anni e mezzo di lavoro e consultazioni, siamo riusciti a mettere in atto ciò che i cardinali avevano chiesto, cambiamenti che già si stavano mettendo in pratica. Oggi c’è un’esperienza di tipo missionario.
Praedicate Evangelium, cioè «siate missionari». Predicate la Parola di Dio. In altre parole, l’essenziale è uscire. Curioso: in quegli incontri c’era un cardinale che ricordava che nel testo dell’Apocalisse Gesù dice: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno apre, io entrerò». Poi ha detto: «Gesù continua a bussare, ma affinché lo lasciamo uscire, perché lo abbiamo imprigionato». Questo è ciò che è stato chiesto in quelle riunioni di cardinali. E quando sono stato eletto, l’ho messo in moto. Dopo alcuni mesi, si sono tenute consultazioni fino alla stesura della nuova Costituzione. E nel frattempo si stavano apportando dei cambiamenti. Cioè non sono idee mie. Che sia chiaro. Sono le idee di tutto il Collegio Cardinalizio che ha chiesto questo.
Ma c’è un’impronta sua, c’è un’impronta della chiesa latinoamericana...
Questo sì.
In che modo questa prospettiva ha reso possibili i cambiamenti a cui assistiamo oggi?
La Chiesa latinoamericana ha una lunga storia di vicinanza al popolo. (...) Il popolo si è espresso sempre più in ambito religioso e ha finito con l’essere protagonista della propria storia. (...) In parte, questo è ciò che ha vissuto la Chiesa latinoamericana, anche se ha avuto tentativi di ideologizzazione, come lo strumento di analisi marxista della realtà per la Teologia della liberazione. È stata una strumentalizzazione ideologica, un percorso di liberazione – mettiamola così – della Chiesa popolare latinoamericana. Ma una cosa sono i popoli, un’altra i populismi.
Qual è la differenza tra i due?
In Europa devo spiegarlo sempre. Qui hanno un’esperienza molto triste del populismo. È appena uscito un libro, Sindrome 1933, che mostra come si è generato il populismo di Hitler. Per questo mi piace dire: non confondiamo il populismo con il popolarismo. Il popolarismo è quando il popolo porta avanti le proprie cose, esprime il suo pensiero nel dialogo ed è sovrano. Il populismo è un’ideologia che unisce il popolo, che cerca di raggrupparlo in un’unica direzione. E qui, quando parli loro di fascismo e di nazismo, capiscono cos’è il populismo. (...)
Perché la vera trasformazione viene dalla periferia?
(...) La periferia ci fa capire il centro. Si può essere d’accordo o meno, ma se vuoi sapere cosa prova un popolo, vai in periferia. Le periferie esistenziali, non solo quelle sociali. Vai dagli anziani pensionati, dai bambini, vai nei quartieri, nelle fabbriche, nelle università, dove si gioca il quotidiano. Ed è lì che si mostra il popolo. I luoghi in cui il popolo può esprimersi più liberamente.
Per me questo è fondamentale. Una politica a partire dal popolo che non è populismo.
Rispettare i valori del popolo, rispettare il ritmo e la ricchezza di un popolo. (...)
I media manipolano
A volte sente che, dalla sua voce dissonante, ha la possibilità di cambiare molte cose?
Che sia dissonante, a volte l’ho sentito. Credo che la mia voce possa cambiare... ma non ci credo tanto perché questo può farti male. Dico quello che sento davanti a Dio, davanti agli altri, con onestà e con il desiderio che serva. Non mi preoccupa tanto il fatto che cambierà o non cambierà le cose. Mi preoccupo di più di dire le cose e di aiutarle a cambiare da sole. (...) Ed è vero che se parlo io, tutti dicono «il Papa ha parlato e ha detto questo». Ma è anche vero che prendono una frase fuori dal contesto e ti fanno dire ciò che non intendevi dire. In altre parole, bisogna fare molta attenzione. Per esempio, con la guerra, c’è stata un’intera controversia per una mia dichiarazione su una rivista dei gesuiti: ho detto che «qui non ci sono né buoni né cattivi» e ho spiegato perché. Ma hanno preso questa dichiarazione da sola e hanno detto: «Il Papa non condanna Putin!». La realtà è che lo stato di guerra è qualcosa di molto più universale, più serio, e non ci sono buoni e cattivi. (...)
È sempre stato un pastore, ma come trasmettere la Chiesa di strada che parla ai fedeli?
Mi piace fare una distinzione tra pastori del popolo e chierici dello Stato. Un chierico di Stato è un ecclesiastico dei tribunali francesi, come Monsieur L’Abbé, e a volte noi sacerdoti siamo tentati di flirtare con il potere, ma non è questa la strada. La vera via è pascolare [il gregge]. Stare in mezzo al tuo popolo (...).
La vita da Papa
Come il Papa vede Bergoglio e come Bergoglio vedrebbe Francesco?
Bergoglio non avrebbe mai immaginato di finire qui. Mai. Sono arrivato in Vaticano con una valigetta, con i vestiti che avevo addosso e poco più. Inoltre, ho lasciato a Buenos Aires le prediche preparate per la Domenica delle Palme. Ho pensato: nessun Papa inizia il suo ministero la Domenica delle Palme, quindi tornerò a casa il sabato. In altre parole, non avrei mai immaginato che sarei stato qui. E quando vedo il Bergoglio di lì e tutta la sua storia, le fotografie parlano da sole. È la storia di una vita che è andata avanti con molti doni di Dio, molte mancanze da parte mia, molte posizioni non tanto universali. Nella vita si impara a essere universali, a essere caritatevoli, a essere meno cattivi. Credo che tutte le persone siano buone. In altre parole, vedo un uomo che ha camminato, che ha che ha preso una strada, con alti e bassi, e tanti amici lo hanno aiutato a continuare a camminare. Non ho mai camminato da solo nella mia vita. Ci sono sempre stati uomini e donne, a partire dai miei genitori, i miei fratelli – una è ancora viva – che mi hanno accompagnato.
Non riesco a immaginarmi come una persona solitaria, perché non lo sono. (...)
E come guarderebbe Bergoglio il Papa?
Non so come lo guarderebbe. Penso che in fondo direbbe: «Poverino, che cosa ti è toccato!» Ma non è così tragico essere Papa. Si può essere un buon pastore. (...)
Sente di essere cambiato molto da quando è Papa?
Alcune persone mi dicono che le cose che stavano germogliando nella mia personalità sono venute in superficie. Che sono diventato più misericordioso. Nella mia vita ho avuto periodi rigidi, in cui ho preteso troppo. Poi ho capito che non si può seguire quella strada, che bisogna saper guidare. È questa la paternità che ha Dio. C’è una canzone napoletana molto bella che descrive cosa sia un padre napoletano. Dice: «Il padre sa cosa ti succede, ma fa finta di non saperlo». Questo saper aspettare gli altri è proprio di un padre. Sa cosa ti sta succedendo, ma fa in modo di farti andare da solo, ti aspetta come se nulla fosse. È un po’ quello che oggi criticherei di quel Bergoglio che, in qualche tappa, non sempre, come vescovo è stato un po’ più benevolo. Ma nella tappa da gesuita è stato molto severo. E la vita è molto bella con lo stile di Dio, di saper sempre aspettare. Sapere, ma fare finta di non sapere e lasciare che maturi. È una delle saggezze più belle che la vita ci regala.
La trovo bene, Francesco. Avremo papa Francesco ancora per un po’?
Lasciamo che lo dica Lui lassù