La Stampa, 2 luglio 2022
Nanni Moretti ricorda Franco Battiato
Dalle nuvole che scoprono i fianchi fumosi dell’Etna alle sale di registrazione dove le architetture musicali vengono scomposte per poi riacquistare il ritmo che le ha rese celeberrime. Dalle trasmissioni tv dove, all’alba dei primi successi, le interviste sembravano incontri ravvicinati con un Ufo, alle esibizioni davanti a platee estasiate. Per affrontare la parabola unica di Franco Battiato, così ricca e alla fine così dolorosa, ci voleva una scelta di campo, una prospettiva precisa che sottolineasse il punto di svolta, il momento in cui il giovane cantautore aveva lucidamente deciso di sperimentare la strada della fama: «In un’epoca di miti era indispensabile tendere al successo». A 40 anni dall’uscita dell’album La voce del padrone (oltre un milione di copie vendute), Marco Spagnoli dedica a Battiato un documentario, ieri in anteprima al Taormina Film Festival, pieno di voci che tentano di spiegarne «carisma e sintomatico mistero», filosofia e tecnica, a partire dall’idea di «usare nei testi materiali di autori, montandoli, così come si fa al cinema».
E proprio da questa interazione con il linguaggio cinematografico nacque l’incontro singolare tra Battiato e Nanni Moretti, due battitori liberi, due pensatori controcorrente, due incantatori di folle che avevano trovato un’imprevedibile intesa. In un’intervista sul set del Sol dell’avvenire, in cui, come racconta Spagnoli, «alla fine ha deciso di dirigersi da solo», Moretti spiega le ragioni dell’attrazione per Battiato: «In lui c’è la compresenza di due aspetti, una grande e raffinata cultura musicale, e anche grandi ironia e autoironia, cose che fanno sempre bene». La presenza di certi brani nelle opere morettiane risponde a precise valutazioni: «Le canzoni di Battiato sono nei miei film perché sono colte e ironiche e, quando si riesce a unire questi due aspetti, è il massimo». In Palombella rossa, dice ancora l’autore, «rappresento un personaggio dell’intellighenzia politica comunista che, mentre sta parlando in una tribuna politica, comincia a cantare E ti vengo a cercare». Le canzoni scelte per i film non sono mai, chiarisce Moretti «di accompagnamento alla scena, servono, piuttosto, a far vedere la scena allo spettatore con un altro sguardo». Il significato che si fonde con le immagini, per renderle più chiare e più incisive: «Le parole sono determinanti – dice Battiato in una delle interviste nel documentario – e io sono ideologicamente legato alle cose che scrivo». L’intesa con Moretti (che «ci ha regalato le sequenze», fa sapere Spagnoli) non era casuale, così come non poteva esserlo la distanza da un mondo di apparenze e superficialità, quella che segnò tutte le amicizie di Battiato, legato giovanissimo, come racconta Caterina Caselli, a Giorgio Gaber. E poi a tanti altri, dalla star Willem Dafoe alla regista Giada Colagrande, dal gesuita Guidalberto Bormolini, a Alice che ricorda «la bellezza di cantare insieme» e a Morgan che ne rievoca «la capacità meravigliosa di dare un senso alle frasi».
Il pellegrinaggio tra chi ha amato il musicista e continuano a farlo, sicuri, come lo era lui, che la morte sia un passaggio, incapace di spezzare legami spirituali, è affidato a Stefano Senardi: «Ci voleva qualcuno che facesse il viaggio – dice Spagnoli -, Senardi era grande amico di Battiato, ma il suo cinismo da discografico ci permetteva di evitare il pericolo peggiore, quello di riproporlo in chiave santino, una cosa che Battiato avrebbe odiato». Nella galleria, dall’epoca delle interviste tv con Pippo Baudo che finge di ironizzare quando Battiato, davanti al pubblico nazional-popolare, chiama in causa la «metanalitica», a quella dell’esibizioni all’estero, come il concerto del ’92 in Iraq, si avverte, palpabile, il vuoto di un’assenza intellettuale, l’esempio di una star pronta alla pubblica autocritica: «Non sempre una persona che segue la sua natura è nel giusto. A volte è meglio combatterla». Nel segno di Battiato, nessuno si è tirato indietro, nessuno ha rinunciato a condividere la sua personale memoria, anche quando poteva essere doloroso rinfrescarla: «Mi manca – dice l’ultimo manager Francesco Cattini – la sua telefonata mattutina». Resta, a sostenere gli orfani, l’eredità di una musica insegna e che travolge, il «rapimento mistico e sensuale» e i «gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi». Dalla fine di Battiato è passato poco più di un anno, ma, nella casa di Milo, nel roseto prediletto dall’autore, le stagioni dell’amore continueranno a succedersi, ininterrotte, grazie alla forza di chi saprà ricordarlo.