il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2022
Quella sozza e puzzulente prima estate romana di Gualtieri
L’olezzo che arriva dai marciapiedi appiccicosi, sporcati dal percolato fuoriuscito dai cassonetti marciti sulle strade infuocate da Caronte, ormai ha assuefatto i cittadini romani. Non ci fanno più caso, coscienti che spazzatrici e lavastrade del Comune passano poco (e male). La “sorpresa” dell’estate 2022 è invece la nube nero cenere che due volte nel giro di due settimane ha avvolto da ovest la Basilica di San Pietro, come se il “Sottosopra” di Stranger Things avesse deciso di inghiottire la Capitale. La prima estate romana di Roberto Gualtieri, quella della “rinascita”, si sta rivelando un inferno. In tutti i sensi. E i “super poteri” concessi per decreto dal premier Mario Draghi al “super sindaco” restano una pistola caricata a salve. La “bacchetta magica” doveva essere quella dei 2 miliardi di euro (almeno) in arrivo dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – il cui impiego è ancora un mistero – e delle deroghe taglia-burocrazia che il sindaco avrà in qualità di commissario per il Giubileo 2025. Gli stessi che – forse – regaleranno alla città un inceneritore per i rifiuti. Per ora si sa solo che 500 milioni di euro per l’evento papale saranno investiti nei percorsi giubilari: Mura Aureliane, siti archeologici, chiese e basiliche. Eppure i romani, impazienti, a 9 mesi dalle elezioni già sbuffano. Tanto che perfino i residenti del centro storico – zoccolo duro del Pd in Campidoglio – hanno scritto all’Unesco chiedendo se non sia il caso di stralciarlo da Patrimonio dell’Umanità. Sarebbe un disastro se accadesse.
Cosa sta succedendo a Roma? Eventi “catastrofici” a parte, partiamo dalle basi. Le più banali. Lo sfalcio dell’erba. La giunta guidata da Virginia Raggi aveva lasciato 17,5 milioni di euro per un maxi-appalto triennale da assegnare entro l’inverno. Ma la gara a dicembre 2021 è stata rinviata perché il Campidoglio non riusciva a trovare l’ultimo componente della commissione giudicatrice. Nel frattempo le erbacce ai bordi delle strade si sono trasformate in giungla (e immondizia), anche in aree centralissime come il Muro Torto. A metà giugno l’ufficio decoro ha assegnato i 15 lotti, passati ora ai municipi per la nomina dei Rup (responsabili unici dei procedimenti). “Entro un mese dovremmo iniziare”, ci dicono da Palazzo Senatorio. Sono seguiti interventi palliativi che – in una città dove in periferia ha votato il 30% degli aventi diritto – hanno riguardato quasi solo i primi due municipi. Vegetazione che soffoca pure i morti, come al cimitero Flaminio dove il verde ormai copre le tombe, mentre le bare in fila d’attesa per la cremazione sono in media 1300-1500. L’erbaccia, seccata da Caronte, favorisce gli incendi. E non serve la mano criminale. Basta un mozzicone gettato da un finestrino, come quello che avrebbe dato la scintilla al rogo che ha bruciato la campagna alle spalle di Casalotti, distruggendo un’autorimessa, un deposito di bombole, la scuola calcio di Aldair e lambendo ville e conventi, con la nube tossica che ha attraversato la città. Chi doveva occuparsene, a decine di chilometri dal centro? Mistero. In poche ore, lunedì scorso, ben 10 roghi hanno colpito la Capitale, nello sconforto dei vigili del fuoco stremati e senza autobotti. Forse è anche colpa dei cambiamenti climatici, contro cui uno sparuto gruppo di giovani romani manifesta non sotto i palazzi del potere, ma bloccando il già congestionato Grande Raccordo Anulare, tra la rabbia di automobilisti-pendolari già esasperati dal contesto.
Fuoco e rifiuti vanno di pari passo. Da giorni il Campidoglio utilizza come alibi – non da poco – l’incendio che il 15 giugno ha distrutto l’impianto di Malagrotta, per giustificare le tonnellate di immondizia ferme sui marciapiedi. Ma la puntuale emergenza estiva era iniziata già da prima. Solo che ora i camion della società Ama – come documenta l’associazione di lavoratori Li.La. – devono farsi ogni giorno 60 km tra andata e ritorno per arrivare in provincia di Latina. “Il 60% dei mezzi Ama sono fermi”, tuonava qualche mese fa Natale Di Cola, segretario Cgil Roma e Lazio. Non sarebbe la soluzione, ma averli tutti in strada aiuterebbe. Come aiuterebbe tenere le isole ecologiche aperte oltre le 4 ore giornaliere, mentre i cestoni di mobili, elettrodomestici e materassi vecchi finiscono puntualmente nel primo angolo di marciapiede. Se ne giovano le famigliole di cinghiali di Roma nord, che approfittando dell’inerzia della Regione Lazio hanno invaso i quartieri della città bene. Quando si è diffusa la notizia che a Monte Mario i residenti osservavano il “coprifuoco” per paura degli ungulati, Gualtieri ha ordinato gli abbattimenti.
Il degrado a Roma coincide anche con l’emergenza umanitaria. Sui blog perbenisti si punta il dito contro i clochard: assediano i dintorni delle stazioni Termini e Tiburtina, i sottopassaggi, i marciapiedi e i portici di alcune strade anche “eleganti”. Vivono lì, quindi usano le fontanelle pubbliche per lavarsi e non utilizzano i bagni pubblici che esistono. Alcuni creano insicurezza, è fisiologico. Secondo il rapporto Rhomeless di Nonna Roma sono 16 mila in tutta la città, ma il Comune ha solo 400 posti per ospitarli, che diventano 1.000 con le emergenze caldo e freddo. Dalla giunta, che ha preso anche i voti di Sant’Egidio e delle associazioni, ancora nessuna risposta in merito.
Il cambiamento in Campidoglio invece si è visto, puntuale, nella cultura. E in particolare nel bando per l’Estate romana 2022. Associazioni che nel 2020 avevano piazzato i loro progetti tra i primi cinque, ora finiscono in fondo alla lista. E altre tornano in cima dopo 5 anni di anonimato. Qualche esempio? L’associazione che due anni fa aveva ottenuto il 3° posto in graduatoria mentre quest’anno ha raggiunto l’88ª posizione. È andata peggio alla 4ª classificata nel 2020, scivolata fino al 298° posto due anni dopo. Nessun cambiamento, invece, nella richiesta delle carte d’identità: il tempo medio di attesa è di 4 mesi e gli “open day” invece di agevolare i cittadini hanno regalato file e risse fuori dalle sedi municipali. Sparare sui trasporti invece è vincere facile. Un breve riepilogo. Roma ha tre linee della metropolitana. Una funziona discretamente, la seconda (che poi è la prima…) ha tempi di attesa di 5-6 minuti e accoglie i passeggeri in stazioni profonde 40 metri dove ascensori e scale mobili non funzionano. La terza è costata quasi 4 miliardi ma i treni passano ogni 12 minuti, che diventano 24 (o di più) quando c’è qualche guasto. Ci sarebbe anche la Roma-Lido, direzione mare, con frequenze da treno regionale nonostante il bacino di 300 mila persone da servire.
Intanto. Gualtieri ha riproposto il piano di Virginia Raggi per la chiusura progressiva delle auto dal centro storico: entro il 2024 via le più inquinanti, fino a immaginare solo vetture elettriche dentro le Mura Aureliane. Come ci si sposterà? Le bici non piacciono ai romani, meglio i monopattini a noleggio. Il problema è che i soliti incivili li lasciano sui marciapiedi, creando caos e degrado. La soluzione sarebbe installare delle rastrelliere. E invece il sindaco ha annunciato che “le società di noleggio passeranno da 7 a 3 e i monopattini da 14.500 a 9.000”. Apriti cielo. “Oggi solo il 2% dei monopattini viene usato, noi vogliamo estendere le aree di noleggio anche alla periferia”, rispondono dal Campidoglio. La sensazione è che a Roma l’offerta di mobilità condivisa stia diminuendo: diminuiscono i monopattini e le bici, mentre la società di car-sharing che dava ai romani la possibilità di spostarsi in Smart a pochi euro, da mesi fornisce Suv imparcheggiabili a prezzi extralusso.
È ovvio che Gualtieri da solo non possa farcela. La trovata popolare (o populista?) di regalare uno stadio per la Roma a Pietralata e uno per la Lazio al Flaminio non può bastare, sempre che funzioni.
Il sindaco adesso cerca sponde politiche. Grazie al suo storico punto di riferimento in Parlamento, il dem Claudio Mancini, Gualtieri ha già un buon rapporto con Draghi. E da qualche settimana ha anche ricucito con Nicola Zingaretti, dopo le “incomprensioni” risalenti alla candidatura. Un incontro – raccontano fonti del Pd – benedetto dal segretario nazionale Enrico Letta e in cui si è discusso delle prossime elezioni alla Regione Lazio. Qui potrebbero perfino tramontare le auto-candidature già in campo del vicegovernatore Daniele Leodori e dell’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, poco gradite al Nazareno, per un clamoroso ritorno dell’ex eurodeputato Enrico Gasbarra o di una tra le ex ministre Marianna Madia e Beatrice Lorenzin. Basterà a invertire la rotta?