la Repubblica, 1 luglio 2022
Wes Anderson spiega come si diventa registi
Moonrise Kingdom, i ragazzi del Cinema America hanno organizzato il 6 luglio una proiezione del film di Wes Anderson nell’ambito del “Cinema in piazza” a San Cosimato, a Roma, presentata dallo stesso regista, il quale ha replicato all’invito con un semplice quanto entusiasta «cool!»: è curioso dell’iniziativa e della reazione di un pubblico diverso, forse anche più autentico, rispetto a quello dei festival. Ha terminato da poco di girare Asteroid City,in predicato per Venezia, non dice nulla del film salvo che ha ricreato il West in Spagna “alla maniera di Sergio Leone”, che è interpretato da Tom Hanks, Matt Dillon, Scarlett Johansonn e Margot Robbie a cui si aggiungono gli amici di sempre: Bill Murray, Tilda Swinton, Adrien Brody e Jason Schwartzman.
Parto da questo perché lavorare in un suo film è un’esperienza che prescinde quella cinematografica, e ha a che fare con relazioni di complicità e amicizia. Attori etroupe alloggiano nello stesso albergo, l’atmosfera è rigorosamente giocosa: se può sembrare un ossimoro lo è anche la consapevolezza che la profondità si può raggiungere con la leggerezza. Sono le principali chiavi di lettura del cinema di Anderson, percorso da un a sottile malinconia che nasce da un senso costante di inadeguatezza e fragilità degli affetti, tuttavia riscattata dall’ironia. Ha raggiunto i 53 anni, vive tra Parigi e la campagna vicino Londra, mantenendo un appartamento nel Lower East Side di New York, appartenuto un tempo a Larry Rivers. «Ma appena posso vengo a villeggiare in Italia» racconta, «è un Paese che amo profondamente, per la sua natura, cultura e storia. Ho girato in ItaliaLe avventure acquatiche di Steve Zissou e il cortometraggio Castello Cavalcanti».
Come nasce l’idea originale di “Moonrise Kingdom”?
«Dalla mia infanzia, almeno suppongo che sia così».
Come descriverebbe il film, in poche parole?
«Non lo descriverei».
Molti grandi registi, a cominciare da Altman, lasciano spazio agli attori per l’improvvisazione. Lei ha fama di controllare ogni elemento minuziosamente: ricorda qualche scena che sia stata improvvisata in uno dei suoi film?
«Nel mio primo lavoro, Bottle Rocket,Owen Wilson in più di un’occasione ha improvvisato dei dialoghi meravigliosi partendo dal nulla. Sonoconvinto che l’improvvisazione sia da relazionare soprattutto a come gli attori la mettono in atto».
Sin da ragazzo è stato un cinéphile: che importanza ha avuto nella sua formazione il cinema italiano?
«C’è stato un momento della mia vita, e del mio percorso artistico, in cui ha avuto un’importanza cruciale».
C’è qualche regista in particolare, o un film, che abbia avuto un’influenza importante?
«Le notti di Cabiria di Federico Fellini eL’oro di Napoli di Vittorio De Sica. E poi tutti i film di Pietro Germi».
Quando ha deciso di diventare regista?
«Avevo dodici anni: mio padre mi regalò una cinepresa Super 8 e ho imparato a usarla. Da allora non ho più smesso».
Sta ancora imparando?
«Certo».
Ricorda il primo film che ha visto?
«Non lo ricordo, ma so che il primo film italiano è stato L’avventura di Michelangelo Antonioni».
Cosa ne ha pensato?
«Che non avevo mai visto nulla dilontanamente simile. Poi la mia reazione è stata: guardiamolo di nuovo».
Se non avesse fatto il regista che lavoro avrebbefatto?
«Avrei provato a fare l’architetto. Ma con maggiori probabilità sarei finito a lavorare in una libreria o qualcosa del genere.
O forse avrei aperto un ristorante».
C’è un attore oun’attrice del passato con cui avrebbe voluto lavorare?
«Ida Lupino!».
Lavora quasi sempre con lo stesso gruppo: Bill Murray, Anjelica Huston, Owen Wilson, Frances McDormand, Tilda Swinton, Adrian Brody...
«Lavoro con loro perché sono stupendi, perché li amo e perché, almeno finora, mi dicono sì».
C’è un film diretto da un altro regista che avrebbe voluto firmare?
«The Gay Desperado, un film del 1936 di Rouben Mamoulian, che in Italia si intitolaNotti messicane. I protagonisti sono Nino Martini e proprio Ida Lupino».