ItaliaOggi, 1 luglio 2022
Leonardo Del Vecchio raccontato da suo figlio Claudio
Lui sarebbe stato molto contento di essere qui con voi e dare la mano a tutti, ma... Io so che voi l’avete sentita la sua mano oggi. Lui non è lì. È qui e vi ringrazia. Ho scritto delle cose perché non sono sicuro che sarei riuscito a dire quello che pensavo fino alla fine. Oggi siamo tutti qui ad Agordo perché lui ha sempre considerato voi, specialmente voi dipendenti della sede di Agordo, membri della sua famiglia. Noi vogliamo ringraziarvi da parte sua: il sogno di nostro padre non si sarebbe potuto realizzare senza la vostra fiducia, dedizione e collaborazione. Sto parlando specialmente ai suoi operai. Lui sapeva quanto eravate bravi, anche di più di quel che pensate voi. Vi ha spinto tanto. Tirato tanto. Incoraggiato, supportato. E voi l’avete ripagato con i vostri sforzi, con la vostra passione, con il vostro attaccamento. È questo che ha dato a lui il coraggio di correre e di sognare, di rischiare. Lui sapeva che dietro di lui c’eravate voi. Lui non ha mai avuto paura, ha preso dei rischi che altri imprenditori non hanno mai voluto prendere. Perché lui sapeva che a coprirgli le spalle c’eravate voi. Lui sapeva che avevate la stessa passione e lo stesso desiderio di vincere. Voi eravate la sua famiglia. Mi vengono in mente molti episodi che provano questa connessione, qualcuno anche più divertente di altri.
Uno ad esempio. Nei primi anni un giorno mio padre è entrato nel reparto di stamperia, dove c’era il Gino. Non mi ricordo perché, ma mio padre – non era la prima e non sarebbe stata l’ultima volta – si era un po’ incazzato per qualche cosa. Le sue vene si gonfiavano, il Gino taceva. Beh, un signore che stampava si alza, va da mio padre e dice: «Signore Del Vecchio, siamo tutti molto contenti, perché era da un po’ di tempo che non faceva così, ed eravamo un po’ preoccupati che qualcosa non andasse bene». Allora lui ha fatto un bell’abbraccio al Gino. Queste sono cose che succedono solo in una famiglia molto affiatata.
Io e le mie sorelle in quegli anni non vedevamo molto mio padre. E per potere passare un po’ di tempo con lui siamo dovuti anche noi entrare nella vostra famiglia. Mi ricordo quando si doveva produrre una collezione chiamata “Pop”. Erano occhiali bianchi e neri, a strisce bianche e nere. Lui ci portava a casa i frontali e le astine stampati in plastica bianca. E noi dovevamo mettere il nastro adesivo per mascherare le parti degli occhiali e delle astine che non si dovevano spruzzare di nero. Ci aveva messo tutti al lavoro, e noi non vedevamo l’ora di fare parte di quello.
Io ho guadagnato il mio primo stipendio – una lira per ogni scatola che confezionavo: quando dovevamo spedire gli occhiali si spedivano in scatole che in quegli anni erano aperte e si doveva mettere la graffetta in ogni angolo. Io venivo pagato una lira per ogni scatola – 25 centesimi per ogni graffetta. Piccole cose, però che ci hanno fatto sentire anche noi parte della famiglia.
Mio padre ha sempre preteso tanto, ma ha anche riconosciuto e rispettato gli sforzi di tutti: dall’operaio che faceva il lavoro più umile a quello che faceva il lavoro più importante. Lui li ha amati tutti. Per lui erano tutti uguali, e alla stessa maniera si preoccupava anche delle loro famiglie: lui sapeva che il loro supporto era altrettanto necessario. Voi lo sapete: le uniche volte che mio padre si emozionava era quando parlava dei suoi operai. Nei discorsi, nelle premiazioni quando menzionava voi gli scappava sempre qualche lacrima. Lui fino all’ultimo ha sempre pensato ai suoi dipendenti. Contento perché sapeva che con la sua squadra poteva proseguire il suo sogno, anche senza di lui.
E voglio chiudere – se ci riesco – con le ultime parole che lui mi ha detto. Durante la mia ultima visita in ospedale lui era molto nervoso. Ma quando stavo per andare mi ha chiesto dove andavo. Gli ho detto che andavo ad Agordo, per vedere la fabbrica. Non l’ha mai chiamata lo stabilimento, l’ha sempre chiamata la sua fabbrica. A causa del Covid non l’avevo vista da tempo. Nel sentire questo il suo viso si è illuminato. E con un sorriso bellissimo mi ha detto: «La fabbrica è così bella adesso...».