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 2022  giugno 30 Giovedì calendario

Intervista a Maria Sole Tognazzi

Ugo Tognazzi in costume da bagno e finta posa da macho guarda, dallo schermo gigante del Teatro antico, la figlia Maria Sole, che al Taormina Film Fest porta il film collettivo Tell it like a woman,sette episodi di registe internazionali prodotto da Iervolino Entertainment e dalla no profit We do it Together per la parità di genere.
Catherine Hardwicke, già regista diTwilight, poco prima della proiezione in anteprima, le chiede chi sia quel signore nel manifesto simbolo dell’edizione 68: «Ho risposto: lui e l’altro (Vittorio Gassman ndr ) sono stati due attori amati dal pubblico. Uno era mio padre». S’emoziona nel racconto, Maria Sole, un caffè all’ombra nel centro della cittadina.
Il suo corto “Unspoken” parte da una storia vera.
«Sì. Avevamo libertà totale, con Giulia Steigerwalt, che lo ha scritto, siamo partite da una fatto di cronaca accaduto negli Stati Uniti: una donna, segregata e maltrattata dal partner, aveva ferito il cane pur di andare a un ospedale veterinario e chiedere aiuto. Lo abbiamo trasformato in un incontro che si basa sul non detto: la veterinaria Margherita Buy – siamo al quarto film insieme – ha l’attenzione e la sensibilità di capire la silenziosa richiesta d’aiuto della donna. Il nostro segmento è stato il primo ad essere girato, poi la pandemia ha interrotto alcuni dei progetti. Ma il risultato mi pare bello e omogeneo».
In autunno la seconda stagione di “Petra”. Immaginava il successo?
«Non te lo aspetti mai. E per me il primo traguardo è sempre realizzare la cosa che avevi immaginato. Il merito è molto di Paola Cortellesi, forse l’attrice più amata in Italia. E funziona la chimica con Andrea Pennacchi: sarà divertente vedere come evolverà nella nuova stagione.
Sono state riprese faticose, la pauradi qualche inconveniente, dal Covid in poi, che fermasse le riprese. Il nostro è un lavoro instabile, con la pandemia di più».
Il cinema?
«A settembre il set di10 minuti,liberamente tratto dal libro di Chiara Gamberale. Ho scritto la sceneggiatura con Francesca Archibugi. La protagonista, Barbara Ronchi, è una donna che, lasciata dopo vent’anni dal compagno, viene stimolata dalla sua psichiatra a superare ogni giorno una prova, qualcosa mai fatta prima. Attraverso questi incontri capirà cose di sé che l’aiuteranno a ricominciare. La psicologa sarà Margherita Buy, poi c’è una sorella ritrovata, Fotinì Peluso, che l’aiuterà».
C’è una rete creativa di autrici.
«I miei set sono sempre stati pieni di donne, ben prima di qualsiasi movimento. Mi trovo a mio agio. In generale sono una che ama collaborare. In passato con Ozpetek, Luca Guadagnino, Saverio Costanzo, ci siamo scambiati idee, sceneggiature, consigliati attori e tecnici. Ora lo sto facendo sempre piùcon le colleghe. La vera evoluzione riguarderà la generazione successiva. Un futuro in cui di questo non parleremo più».
Non darei per scontato un futuro di progresso. Basta guardare alla Corte suprema americana sull’aborto, lo sfiorire del MeToo.
«Infatti mi incazzo quando dicono “oggi ci sono molte registe donne”.
Rivela l’incapacità di immaginare un’eguaglianza vera. Il dislivello è enorme. Poi certo, quando ho iniziato io a fare l’assistente le registe erano un paio. Sul set gli uomini non mi ascoltavano, da regista ora sono obbligati: un sollievo. Mi incazzo anche quando parlano di “sguardo femminile”, non è lo sguardo, è la tipologia di racconto che ti distingue.
Questa cosa ho iniziato ad affrontarla dieci anni fa, con Viaggio sola :sembrava rivoluzionaria l’idea di una donna che decidesse di stare sola. Poi sono passata per una donna che decide, dopo tanti anni, di vivere con un’altra. Fui “scomunicata” dalla Chiesa con Io e lei,un film davvero pudico, è successo solo a me e Madonna, buffo. Il discorso va avanti:è la mia materia e la affronto ogni volta, in modo diverso».
Nei film di suo padre e Gassman si raccontavano donne attraverso il prisma di una società diversa.
«Lo penso spesso. Quasi nessun film passerebbe il vaglio della nuova sensibilità. Allora si raccontava in libertà, senza problemi. Oggi, che tu faccia un film d’autore, una commedia, una serie, c’è la paura di far esprimere in un certo modo i personaggi. L’equilibrio è sottile, la materia delicata»
Ricordi di suo padre a Taormina?
«Indiretti. L’immagine di lui con Monica Vitti e Gassman, un anno prima della sua morte. E un film buffo che si chiamava Intrigo a Taormina, con Walter Chiari e Gino Cervi. Per motivi di età ho ricordi personali di lui, mai professionali. Mi manca il non poter fargli vedere i miei film. Mi chiedo spesso: avrei voluto dirigerlo? La risposta è no, mi sarei trovata in imbarazzo».
Che regista è stato suo padre?
«Libero, coraggioso. Ha fatto pochi film, quelli che da attore non gli venivano proposti. Penso aI viaggiatori della sera, Il fischio al naso, Cattivi pensieri.Film incompresi, mamma ricorda che papà si ammalava di dispiacere».
Voi fratelli siete uniti.
«Sì, la nostra è una delle prime famiglia allargate. Gianmarco è quello che si fa carico della memoria di papà. Sono orgogliosa di Thomas, che ha prodotto La persona peggiore del mondo di Joachim Trier».
Vittorio e Ugo, grandi amici.
«Si sono voluti bene, frequentati fino alla fine, negli anni della depressione. Papà era legato anche a Mastroianni.
Uno degli ultimi ricordi che ho con lui è la visione diOci ciornie nella casa di Velletri. Restammo in silenzio e poi lui disse: “Marcello è il più grande di tutti”».