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 2022  giugno 30 Giovedì calendario

Tutti gli uomini del presidente Putin

Quasi tutti gli uomini del presidente. E quanto pesano, soprattutto. Sono mesi in cui per forza di cose gli esercizi di Cremlinologia sono diventati un sottogenere giornalistico, con annesse previsioni sul nuovo Zar nell’improbabile caso di abbandono, o peggio, da parte di Vladimir Putin. Novaya Gazeta, il quotidiano diretto dal premio Nobel Dmitry Muratov, ha fatto una operazione diversa. Sulla sua edizione online, l’unica ormai possibile, ha affidato ad alcuni politologi la valutazione sulla effettiva rilevanza dei personaggi che più di tutti recitano il ruolo di guerrafondai e nemici dell’Occidente.
Cominciamo con i due cattivi mediatici per eccellenza, Ramzan Kadyrov e Dmitry Medvedev, i due uomini che ogni mattina danno il buongiorno al creato con parole sempre più aggressive contro «i nemici della Russia». Il leader ceceno si è accreditato con i consueti toni sguaiati come il cattivo tenente di Putin. Ma è innegabile come la guerra in Ucraina gli stia dando la possibilità di uscire dal cono d’ombra del leader regionale e di ritagliarsi un ruolo importante a livello federale. Non ha alcuna possibilità di sostituirlo, ma almeno è diventato un interlocutore del presidente. Quella dell’ex delfino dello Zar è invece una parabola opposta. La tribuna degli esperti di Novaya Gazeta è concorde su Medvedev. Un grande avvenire dietro le spalle, e un presente gramo. «La sua figura ormai non appartiene più alla politica, è diventato una specie di clown dei media» dice ad esempio l’analista Nikolay Petrov.
Andiamo oltre. C’è un metodo, nelle dichiarazioni fuori misura di Andrey Turchak. Secondo Fyodor Krasheninnikov, giornalista e analista politico ben addentro alle dinamiche della verticale del potere russo, per il segretario generale di Russia Unita la guerra rappresenta la possibilità di scalare le gerarchie, per avere finalmente un posto al sole, ben diverso da quello di capo di un partito personale senza alcuna vera struttura. Lo speaker della Duma Vyacheslav Volodin era conosciuto fino a pochi anni fa come un moderato di centro. Dal 2018 in poi, dopo alcune accuse di corruzione, ha promosso leggi contro le comunità Lgbt, riciclandosi in falco. Da ricordare, tra le tante, la proposta di licenziare dal pubblico impiego chi solleva obiezioni sull’Operazione militare speciale. Ma rendersi visibile non lo rende certo più influente. In Russia conta poco. Anche per lui, il meglio è passato. Fino al 2016 dirigeva lo staff presidenziale, ruolo in cui gli è subentrato Sergey Kiriyenko, che oggi gestisce l’occupazione del Donbass. Sogna di prendere il posto di Putin, ma a Mosca viene considerato un tecnocrate di poco carisma, incapace di parlare in pubblico.
Al vicepremier Marat Khushullin è stata affidata la ricostruzione e la gestione delle regioni di Kherson, Zaporiziya e della nuova repubblica di Lugansk. Al contrario di quel che si crede, e lo stesso vale per Kiriyenko, non si tratta di una promozione. «Loro due, e in generale ogni persona chiamata a svolgere pubblica attività in quell’area, si sono macchiati di molti più crimini di quelli che sparano soltanto sui social» dice Krasheninnikov. Anche per questo non hanno un futuro, e possono solo sperare che Putin duri più a lungo possibile. Sergey Mironov figura in questo elenco solo per ragioni interne. Il capo di Russia giusta, partito alleato di Putin, famoso per la sua prudenza e per avere svolto la funzione del finto oppositore, è per il mercato interno quel che rappresenta Medvedev all’estero. «Non capisce che così si rende ridicolo e inaffidabile» taglia corto Novaya Gazeta.
Ultimo viene il più importante. Nikolay Patrushev crede in quello che dice. È il Putinista assoluto. A differenza degli altri, era un oscurantista convinto ancora prima che lo divenisse il suo leader. L’ex direttore dei Servizi segreti è il capo indiscusso del Consiglio di sicurezza, ben sopra Medvedev che nominalmente gli starebbe sopra. «Il conflitto con l’Occidente e il crescente isolamento di Putin hanno accresciuto il suo potere a livello esponenziale». Patrushev è l’uomo che filtra le informazioni dirette al suo leader. Ma anche il secondo uomo più potente di Russia ha un problema. I suoi 70 anni, uno in più di Putin. L’erede al trono ancora non si trova. E se per caso esiste un successore designato, si muove nell’ombra.