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 2022  giugno 28 Martedì calendario

Di Battista: il duro, puro e cocciuto

Di Maio è politicamente indifendibile. Se però questa scissione caricaturale e patetica ha attratto anche figure non certo prive di doti e qualità come Sileri e Azzolina, vuol dire che qualcosa nel nuovo corso di Giuseppe Conte non sta funzionando. L’ex presidente del Consiglio si è ancora affidato al brand Movimento 5 Stelle, sempre più privo di attrattiva. Avrebbe dovuto fare un partito tutto suo, e invece si è infognato in una selva di gruppi e gruppetti, finendo crivellato dal fuoco amico. Il nuovo corso contiano è come la primavera di Povera patria: “tarda ad arrivare”.
È opinione di molti che, senza Di Maio e frattaglie annesse, Conte sarà più libero. Probabile: Di Maio ha molto potere nel Palazzo ma meno voti di Renzi nel mondo reale, dunque la sua uscita – a livello elettorale – inciderà meno di niente. È opinione di altrettanti che, adesso, a Conte farebbe comodo Di Battista. Parliamone. Conosco bene Di Battista. Alessandro è un talebano coi paraocchi, elastico come la ghisa e duttile come il piombo. Noce sorda come nessuno, ha un pregio rarissimo: la coerenza (pure quella talebana). Ha rinunciato a fare il ministro nel Conte-1, dicendo poi no a un altro dicastero nel Conte-2 (gli sarebbe bastato accettare la presenza della Boschi). Non si è candidato nel 2018, all’apice del successo, preferendo famiglia e libertà. È un idealista vero, nobile e al tempo stesso ingenuamente retorico come tutti gli idealisti veri. Di Battista credeva davvero che gli italiani si potessero cambiare, addirittura in meglio, e già solo questo lo rende un utopista iper-oltranzista. Oggi Di Battista è un padre felice di 44 anni. Viaggia per lavoro (ora è in Russia), Floris lo usa con sapienza in tivù, i suoi social sono tornati a girare ed economicamente sta bene. È tutto da dimostrare che, anche nella migliore condizione politica possibile, tornerebbe in Parlamento.
La politica gli è però sempre piaciuta: ha questa strana perversione, da cui è guarito solo in parte. Sono amico di Alessandro e gli voglio bene, il che non vuol dire che lo condivida sempre. Alcune sue fisse da “M5S puro” non le sopporto: reputo l’“uno vale uno” la più grande cazzata degli ultimi 15 anni (Giarrusso vale Conte? Cunial vale Appendino? Sibilia vale Gramsci?). Ridare parte dello stipendio è ai miei occhi demagogico e pure scemo (il lavoro si paga e si paga bene, anzi benissimo). Il limite del doppio mandato (ma anche uno solo) deve valere solo per gli scappati di casa (nei 5 Stelle ce n’erano e ce ne sono tanti), altrimenti chi è bravo deve andare avanti. Conosce la politica estera, ma – se lo trovo meritorio su Palestina e Assange – mi pare spesso “bastian contrario per partito preso” sulla Russia. La sua fissa sulla candidata iper-grillina pugliese alle Regionali resta irricevibile, i suoi toni colpevolmente benevoli nei confronti di Paragone (Paragoneee!) mi suonano inaccettabili. Eccetera. C’è però un dato incontrovertibile: su governo Draghi e M5S, Di Battista aveva (ha) ragione totale. E sarebbe ora di riconoscerglielo. Alessandro incarna il grillismo un po’ velleitario, sì, però coerente e “vero”. A me il genere piace fino a un certo punto, ma Conte di uno come Di Battista ha bisogno come il pane. Perché Alessandro porta voti. Perché sa parlare. E perché uno così, nel “nuovo M5S”, manca totalmente. Magari Conte potrebbe edulcorare Di Battista e Di Battista potrebbe spettinare Conte: magari potrebbero migliorarsi a vicenda. Se i 5 Stelle hanno un futuro, ed è un “se” grosso come la bruttezza dei programmi di Giletti, non potrà fare a meno di Di Battista.