Corriere della Sera, 28 giugno 2022
Intervista a Caterina Balivo
Per un ventennio, Caterina Balivo è stata il volto imprescindibile del daytime Rai. Che fosse su Raiuno o su Raidue, dal lunedì al venerdì è entrata nelle nostre case. Poi, nel primo lockdown, decide di lasciare in anticipo il suo Vieni da me. Programma chiuso, squadra sciolta. Negli ultimi due anni, è stata a casa coi figli. «Volevo ascoltare quello che succedeva nel mondo e anche alla mia famiglia», dice adesso. Aggiunge: «Anche solo trovarmi a pranzo con loro a mangiare piatti cucinati da me era una sensazione stranissima, dopo tanti cestini consumati in camerino mentre venivo truccata». Dopo, ha prodotto un podcast (Ricomincio dal no), è stata giurata del Cantante mascherato, ma non ha più detto buon pomeriggio o buongiorno a favore di telecamera. Il ritorno avviene in queste settimane, con due nuovi programmi e di prima serata. Il caschetto è cresciuto, i capelli sono di nuovo lunghi, la verve è la stessa di quando esordì a Miss Italia nel 1999.
Quando nasce in lei l’idea di fare tv?
«Era un obiettivo già a 15 anni. Vidi uno spot per partecipare a Bellissima. Mia nonna, che mi diceva sempre “sei bellissima”, era mancata da poco. Non le avevo mai creduto, non mi sentivo affatto bella. Davanti allo spot, pensai: se aveva ragione, mi prenderanno. Sotto casa ad Aversa, c’era un fotografo di matrimoni, mi presento con le 50 mila lire che nonno mi aveva regalato a Pasqua e con un doppiopetto accollatissimo. Chiedo solo primi piani in bianco e nero. Il fotografo mi fa: mi pagherai solo se ti prendono».
E la presero?
«Non spedii mai le foto: temevo di restare delusa da nonna. Chi sa se, mandandola, forse si sarebbero inteneriti, avrebbero detto: guarda questa che manda foto tutta coperta... Poi, siccome se mi metto in testa una cosa devo farla, decisi che avrei tentato Miss Italia, ma solo dopo la Maturità».
Arrivò terza e diventò valletta di «Scommettiamo», per poi condurre tanti programmi. Fra gli altri, «Unomattina», «Casa Raiuno», «Pomeriggio sul 2», «Festa italiana», «Detto fatto», «Vieni da me»...
«Gli ultimi tre che ha detto li ho creati da zero. Sono partiti in sordina, ho faticato, li ho fatti decollare fino a grandi ascolti: sono stati la mia più bella gratificazione».
Festa italiana, però gliela tolsero al top dell’audience, retrocedendola su Raidue. Pare che il direttore non avesse gradito un’intervista in cui parlava di lui.
«La carriera di un conduttore è come quella di un calciatore: non sempre il risultato corrisponde alla sua performance».
Lei stessa si è autoaccusata di non saper contare fino a dieci prima di parlare.
«Ancora non ho imparato a farlo. Dico sempre quello che penso. Sono migliorata solo sui social: le mie gaffes risalgono a quando non c’era ancora la percezione che quello che scrivevi poteva essere strumentalizzato».
Dovette rinunciare al ruolo di madrina del Gay Pride per una vecchia battuta («Ricky Martin è bono anche se è gay») e dovette cancellare un post su Diletta Leotta in cui osservava che, per invocare la privacy, era troppo poco vestita.
«Oggi ho capito che, quando hai l’impulso di scrivere, piuttosto, è meglio non scrivere. Mi fa impressione che mio figlio Guido Alberto sia proprio come me. A mio marito dico: spiegaglielo tu che deve contare fino a 20, io non sono credibile».
Suo marito Guido Maria Brera, uomo di finanza, ora è diventato anche scrittore di successo ed è pure lui sulle copertine, che effetto le fa?
«La trovo una conseguenza naturale di quello che ho sempre vissuto a casa, dove è stato da subito il mio opinion leader. L’ho conosciuto che mi parlava di Diavoli, che sarebbe diventato il suo primo romanzo e poi una serie Sky».
Avete due figli, di 10 anni e 5 anni. Lei è d’accordo sulla teoria di suo marito per cui i figli devono studiare massimo un’ora al giorno e poi stare all’aperto?
«Su questa storia non voglio perdere un minuto. Lui ha ricevuto migliaia di insulti; Costanza, la più piccola dei due figli del suo primo matrimonio, ha fatto un post per dire “basta, sono sua figlia, sono le 22.30 e sto ancora studiando”. Guido ha ragione sul fatto che, oggi, i ragazzi devono avere senso pratico, essere organizzati e laurearsi in fretta. Ma Guido Alberto fa le elementari, gli danno pochissimi compiti e io me ne lamento. Di mio, ho ricordi di studio matto e disperato: al Classico, nella mia classe, siamo partiti in 30 e arrivati alla maturità in 16».
E come va sulla storia che i figli devono imparare non il cinese ma a guidare il trattore?
«Guido voleva davvero insegnarlo, ma Guido Alberto gli ha risposto: papà, sono piccolo! La verità è che mio marito non sempre si sente compreso in casa. Però, dopo 13 anni insieme, gli do atto che su finanza, ambiente, ha sempre detto in anticipo cose che si sono avverate. Lui, per deformazione professionale, vive i rischi, guardando da qua a qualche anno. A inizio pandemia, non faceva che dire: prepariamoci, prepariamoci. Io, invece, vivo il presente, non so vivere di quello che arriverà. L’altro giorno, a Roma, c’è stato l’incendio della discarica di Malagrotta e Guido ci ha fatto chiudere le finestre. Un caldo... Ho detto: non m’importa se perdo un anno di vita per la diossina, io apro».
Perché autodenunciò una crisi di coppia durante il lockdwon?
«Perché raccontare che esiste la famiglia perfetta? Noi abbiamo vissuto la pandemia in modo diverso, lui – fragile di salute – isolato per paura di ammalarsi, io più bramosa di normalità. Nel secondo lockdown, stavamo nella casa al mare, le scuole hanno riaperto e io ero felice che i figli tornassero a socializzare, ma Guido temeva che portassero il Covid a casa. Al che, ho preso i bimbi e sono tornata a Roma, da sola con loro».
Lei, in pandemia, ha lasciato «Vieni da me» proprio per stare più vicina a figli e consorte. Risultato: zero conduzioni per quasi due anni.
«È stato più complesso di così. Facevo un programma allegro, leggero, che a quel punto sentivo stonato. Avendo Guido accanto, ho capito che il mondo stava cambiando e io, se vedo l’onda arrivare, voglio surfare, non starmene in spiaggia. Avevo un figlio in Dad, una bimba di due anni che avevo cresciuto nei ritagli di tempo. Da sempre, lavoravo dieci ore al giorno. A volte, mettersi in gioco vuol dire anche fermarsi, ascoltarsi, cambiare scala di priorità. Ora, non voglio più stare tutti i giorni tante ore fuori casa».
Alla fine, nelle emergenze, il passo indietro lo fa sempre la donna?
«Vero. Nel mio caso, però, ho possibilità diverse dalla media: avrei potuto pagarmi degli aiuti, ma ho fatto una scelta più personale».
Suo marito ha raccontato di aver delegato a lei le incombenze quotidiane.
«I colleghi Rai, quando l’hanno letto, mi hanno detto: ma come se stai qui tutti i giorni?».
Quindi, sulla parità, in casa, non siamo messi bene?
«Mio marito non è maschilista, però c’è tanto da fare sulla parità di impegni. Arriveremo alla parità quando i due genitori si creano lo stesso problema sugli orari di lavoro, controllando se c’è la recita o la visita medica del bambino».
Guido ha detto di lei al «Corriere»: «Amo il suo saper essere leggera restando una persona di spessore. Mi aiuta usando due armi: sensibilità e capacità di sdrammatizzare».
«Sulla capacità di sdrammatizzare, però, a volte, si arrabbia. Ne sorride a scoppio ritardato. Ma abbiamo gli stessi valori sulla famiglia, sulla parola data».
Lei cosa ama in lui?
«Il suo distacco. Per una sanguigna come me è un bene, se no, vivrei in una soap opera continua».
Com’è fatta questa soap opera?
«Di tragedie, pianti, di una teatralità un po’ napoletana, della veemenza che da ragazzina mi aveva fatto battezzare “la sindacalista della classe”. E calcoli che avevo i genitori insegnanti, papà vicepreside della scuola».
La protagonista del suo romanzo «Gli uomini sono come le lavatrici» è una ragazza napoletana che parla troppo, dice sempre la verità e taglia i vestiti dei fidanzati se la tradiscono. È lei?
«Si ispira a me prima di Guido. Gli uomini cambiavano. Solo la lavatrice restava fedele».
Ha conosciuto il tradimento?
«Certo. Sia ricevuto che commesso. Ma mi dava una meta dirmi: con il padre dei miei figli sarà diverso. Eppure, figli non ne volevo. Poi, vedendo Guido fare il papà, ho scoperto che i weekend con i suoi bimbi non mi pesavano».
Prima, era stata vista accanto solo a giovani manager in carriera.
«Non capivo le amiche che stavano con attori o calciatori. Io ho sempre voluto un uomo con un lavoro non pubblico che giocasse un campionato diverso dal mio. Se fai lo stesso mestiere, o si è bravissimi entrambi o uno è la spalla dell’altro: io non nasco spalla e non volevo un uomo con ambizioni minori».
La soap opera di cui sopra include la gelosia?
«A volte, la mia parte terrona esce fuori. Una volta, davanti a tutti, ho detto a una: non ti vergogni di provarci con il mio fidanzato con accanto tuo marito? Guido non apprezza questi miei interventi. Dice: non lo fare mai più».
Su Tv8, conduce «Chi vuole sposare mia mamma?» e, dal 24 agosto, «Help» su Raidue. Perché non solo Rai e di nuovo start up?
«Voglio fare cose nuove che mi stimolino. Su Tv8, mamme separate si rimettono in discussione e il figlio può anche decidere per loro. Mentre Help parte dal presupposto che ogni giorno prendiamo trentamila decisioni, magari chiedendo consiglio a un amico, mentre qui i consigli arrivano da sconosciuti. Sono due progetti molto diversi, ma entrambi con un aspetto psicologico che mi piace da matti. Io vivo di emozioni, i programmi devo sentirli».
Fino a quando vuole fare tv?
«Semplice: fino a quando mi diverto».