La Stampa, 28 giugno 2022
Breve ritratto di Katia Tarasconi, neo sindaco di Piacenza
Oggi riceverà la notifica di essere il nuovo sindaco di Piacenza e mercoledì giurerà in Municipio, ma Katia Tarasconi, 49anni, a capo di una coalizione di centrosinistra sostenuta da Pd, Azione e liste civiche che ha vinto al ballottaggio in quella che si credeva una roccaforte della Lega, ha già alle spalle una storia di emigrazione, lavoro e la morte di un figlio 18enne che, dice, l’hanno aiutata a diventare la donna e il primo cittadino che è oggi. Ma non si creda che abbia usato questa tragedia per toccare il cuore degli elettori. Kristopher è sempre con lei, ha le sue ultime parole tatuate sul braccio e, spiega, «non è legittimo lasciarsi andare al dolore».
Tarasconi, vuol essere chiamata sindaco o sindaca?
«Preferisco Katia, per me è meglio (ride)».
Ha doppia cittadinanza, italiana e americana?
«Sono nata a Piacenza ma, finita la terza media, sono emigrata negli Usa con mia madre. Dopo il divorzio da mio padre, cercava un nuovo inizio. Non eravamo in una condizione di agiatezza. Ho fatto il liceo a New York e l’università a Miami. I miei genitori e i nonni mi hanno sempre sostenuto, studiare lì è un grande investimento, ma dovevo contribuire. Ho fatto tanti lavori: bibliotecaria, cameriera. Per il master ho vinto una borsa di studio che mi permetteva di non pagare la retta, se lavoravo nel campus. Sono rimasta là 12 anni e, avendo la green card, ho potuto prendere la cittadinanza».
E quando è rientrata in Italia, cosa ha fatto?
«Ho lavorato in un’azienda di servizi internet a Piacenza. All’inizio programmavo e impaginavo per il web. Poi, ho iniziato a fare il commerciale. L’ultimo anno sono diventata amministratore delegato. Nessuno nella vita ti regala niente. Tutto quello che riesci a fare, lo devi fare con le tue forze».
La vita le ha strappato un figlio 18enne, morto in un incidente stradale a Roma, dove era andato con amici...
«Pensi sempre che ci sono cose che non ti possono accadere, poi succedono e tu ci sei in mezzo. Ma non si è scusati. Non è legittimo lasciarsi andare, anche se ti viene sempre quel pensiero, però alla fine, non ci puoi fare niente, devi solo accettarlo, perché non cambi la situazione. Vorresti, ma non puoi».
In campagna elettorale si è parlato spesso di questo...
«Fa parte della mia vita, purtroppo, e io non sono stupida. Capisco che se ne parli. Però, non voglio che questa cosa sia strumentalizzata. Non userei mai il nome di Kristopher per scopi politici, penso solo che oggi sarebbe fiero di me».
Lei sul braccio ha tatuato una frase «live your best fucking life» (vivila al meglio, questa dannata vita, ndr). È il suo motto?
«È stata l’ultima frase che Kristopher ha pubblicato sui social prima di morire. Può sembrare stupido e invece credo abbia un significato. Io, mia mamma, mia sorella e mia figlia ce la siamo tatuate uguale, con la sua calligrafia». —