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 2022  giugno 27 Lunedì calendario

Intervista a Marino Niola

Trovare nell’etimo delle parole le risposte alle domande che ci pone l’attualità è come un’azione antiossidante dei nostri pensieri, dei giudizi che diamo e dei pregiudizi ai quali ci ancoriamo. La fuga di Di Maio dai Cinquestelle, movimento dal quale ha avuto tutto e contro il quale oggi dice tutto, è la radice di questa conversazione.
Professor Niola, l’ambizione è un sentimento necessario in politica come negli altri affari della vita. Ma quando poi si esagera, l’ambizione ci conduce nel ghetto dell’opportunismo. Si briga soltanto.
Ambizione deriva da ambire. Che significa andare attorno, un po’ di qua e un po’ di là. Vede come ritroviamo esattamente il peripatetico Di Maio che afferma “a” e poi “b”. Dichiara “x” e oggi predilige “y”. In questo non c’è nulla di nuovo e neanche di estremamente scorretto. È il nostro dna. Tanti sono i Di Maio.
Brigare, maneggiare, bussare alle porte della convenienza. Se è tutto lecito è davvero un disastro.
Perché confondiamo la riconoscenza con la gratitudine. La seconda è un sentimento e ha a che fare con la grazia. La riconoscenza (da conoscere) sviluppa un calcolo più razionale, meno immediato della gratitudine. Valuta l’entità del debito che ha col dante causa e mette sul piatto il merito proprio. Se ritiene che i debiti siano stati saldati o compensati dichiara chiusa la sua storia filiale.
La politica è il luogo dei sospetti, dei fratelli coltelli, della cattiveria e dei tradimenti.
Il luogo eletto dell’ingratitudine, abbiamo detto. Ma allargherei il campo ad altre attività della nostra esperienza di vita.
Di Maio sarà ingrato ma accusarlo di irriconoscenza non ha senso, questo lei dice.
Freud ci ha insegnato che l’uccisione del padre è un atto necessario.
Perché la politica è spesso senza memoria, e sempre si ritrova quasi senza storia? Un luogo abitato dai mediocri. Ai quali importa unicamente del presente, di preservarlo per garantirsi lo status quo.
Sulla memoria le ricorderò Borges, mi dia un attimo.
Aspetti, volevo concludere: il talento innova ed espande, la mediocrità conserva e sclerotizza. Il mediocre non ha particolari istanze ideologiche cui aderire, non si immette in alcuna grande narrazione. È un camaleonte, un hypocrites pronto a indossare il costume che meglio si adatta alla scena.
Ma Grillo e Casaleggio avevano teorizzato il nuovo Stato. Era una grande prova fondativa di due personalità di assoluto talento e perciò inarrivabili. L’idea dello Stato nascente, di una comunità che allarga i suoi orizzonti, di per sé era inclusiva. Accoglieva ogni istanza, ogni opzione ideale, direi anche ogni formidabile dedizione e persino ogni fanatismo.
Faceva infatti il pieno dei consensi.
Infatti l’ascesa è stata impetuosa. Quando poi il movimento è divenuto parte (partito), ha dovuto selezionare e mutare aspetto, pelle. Naturale che abbia perso consensi, del tutto prevedibile.
Di Maio, e i tanti grillini divenuti ex, hanno già dimenticato la loro storia.
Qui c’è Borges a istruirci.
Gramsci diceva: la storia insegna ma ha cattivi scolari.
Funes el memorioso, il personaggio di Borges, dimostra che avere memoria di ogni cosa ci porta alla follia. Abbiamo bisogno di dimenticare, abbiamo necessità di non tenere tutto custodito, di essere un po’ smemorati come Di Maio.
Lui è un po’ tanto smemorato.
Assumere le dosi giuste, altrimenti si eccede e si scatenano gli effetti collaterali.
Sembra che anche gli italiani abbiano già dimenticato i Cinquestelle.
Non sono un analista politico e non so se sarà un declino così definitivo. So che i tanti ora fermi nell’astensione attendono di correre di nuovo in cabina. Correre a inseguire un nuovo sogno