La Stampa, 27 giugno 2022
Sul sesso la chiesa è moderna. Lo dice il vescovo di Ivrea
Egregio direttore,
è capitato di leggere, in questi ultimi tempi, la contestazione alla “modernità” della Chiesa e in particolare di Papa Francesco, lo ha fatto esplicitamente Vito Mancuso su La Stampa del 16 giugno, riferendosi al fatto che Papa Francesco, avrebbe ribadito la dottrina tradizionale della Chiesa, che cioè l’uso pieno del sesso è ammissibile solo nel matrimonio, dove l’amplesso pieno dà una conoscenza piena e reciproca tra gli sposi, come conferma anche l’antico ebraico biblico, dove unirsi sessualmente viene denominato “conoscere” (v. Adamo ed Eva, Gen. 4, 1).
È vero che il Concilio Vaticano II, pur ricordando poi (n. 50) che «il matrimonio è l’amore sono ordinati per loro natura alla procreazione e all’educazione della prole», afferma chiaramente (n. 49) che «questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onorabili e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano».
Da questo si rileva che, al di fuori della situazione coniugale, l’uso pieno del sesso esprime solo la forza dell’erotismo e diventa ricerca egoistica della propria soddisfazione. Non nego che ciò avvenga spesso tra persone legate solo tra vincoli di amicizia (ma non di rado anche in incontri occasionali – e spesso, purtroppo – come atto di violenza).
A questa “modernità” la Chiesa (e il Papa) non dà ascolto, attenta (e attento) com’è ad allargare la visuale fin dove la totalità fisica esprime la totalità della persona, mettendo in guardia invece da una facile e comoda estensione che autorizzerebbe un uso indiscriminato della sessualità.
L’articolo a cui alludo, in realtà, potrebbe limitarsi – come apparirebbe nella sua conclusione – a chi, in vista del futuro matrimonio, desidera una conoscenza più piena del proprio compagno/a, col rischio peraltro che tale eventualità si realizzi dall’inizio dell’approccio, mentre è comprensibile che due fidanzati impossibilitati per qualche tempo a sposarsi cedano talora a questo impulso. Ma si tratterebbe, anche in questo caso, di una sessualità che esprime la totalità delle persone.
Un’altra “modernità” riguarderebbe i rapporti tra persone omosessuali, valutati oggi dalla Chiesa (e dal Papa) con occhio più indulgente ma ancora con una certa rigorosità. Penso che anche qui debba valere il criterio della totalità della persona: se due persone dello stesso sesso si voglio molto bene, sentendosi l’uno per l’altro, perché non negare loro l’uso della sessualità, come espressione e come incentivo del loro amore? Si tratterà di valutare quale sia l’uso della sessualità di cui avvalersi. Ma se – senza giudicare i singoli casi – una persona anziana tiene per se come “altro” un giovane, viene da sospettare che non vi sia reciprocità e che uno usi dell’altro solo come termine del proprio erotismo. Penso che la Chiesa (e il Papa) mentre si apre alla modernità del considerare il primato dell’amore – di un amore vero e globale – deve invece guardarsi da una modernità dell’"oggi fan tutti così”, che – ritengo – sarebbe la fine dell’etica, di un comportamento veramente umano. —