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 2022  giugno 27 Lunedì calendario

Intervista a Francis Ford Coppola

Credere ancora, nonostante tutto, «nella gentilezza e nella generosità della specie umana», restare convinti che un amico possa essere sempre utile e un nemico mai, nemmeno quando lo si è sconfitto, scommettere sul matriarcato «dove eravamo tutti in una condizione di parità», rifiutando la cultura machista che ci ha «trasformati in esseri meschini, egoisti, ostili». Davanti all’America infiammata dalle proteste contro la sentenza che ha vietato in sette Stati l’interruzione di gravidanza, Francis Ford Coppola parla chiaro: «La decisione della Corte Suprema è terribile, corriamo il pericolo di perdere la nostra democrazia, e rischiamo anche di peggio, stando alle parole pronunciate da questo nuovo imperatore Donald Trump. È tutto molto pericoloso».
Ieri, nel Teatro Antico di Taormina, per l’apertura della 68ª edizione del Festival, Coppola ha ricevuto dai direttori Francesco Alò, Alessandra De Luca e Federico Pontiggia il Taormina Award e ha parlato dell’opera, Il Padrino, che da oggi, per il cinquantenario, torna in versione restaurata in oltre 100 sale: «Quando l’ho girato avevo poco più di 30 anni. Avrei potuto costruire un’intera carriera continuando a ripetere film come quello, e invece ogni volta ho fatto una cosa nuova, una cosa che non sapevo come si dovesse fare. Forse per questo i miei film hanno avuto una vita così lunga».
Quanto è cambiata l’identità degli italiani in America dai tempi del «Padrino»?
«Sicuramente sono cambiate molte cose. Io, per esempio, ero stato chiamato Francesco, ma hanno cambiato il mio nome in Francis per cercare di cancellare le origini italiane che allora rendevano problematico anche l’acquisto di una casa. Per la stessa ragione non ho mai imparato la lingua. Oggi gli italiani sono perfettamente integrati, non vivono più raggruppati nel loro ghetto e guardano dall’alto in basso i nuovi immigrati».
Con un gruppo di colleghi famosi come Lucas, Spielberg, Scorsese lei ha rappresentato l’ondata vivificante della nuova Hollywood. Oggi il cinema è in pericolo, la fruizione in sala è in crisi, dilaga lo streaming. Come pensa che andrà a finire?
«Il cinema è figlio del teatro, che esiste da quando c’è la specie umana, da quando è stata raccontata la prima storia intorno al fuoco. Pensiamo a Eschilo, Sofocle, Euripide, fondamentali ancora oggi. Nonostante la pandemia e tutte le difficoltà che abbiamo vissuto, soprattutto per la stupidità di esseri umani che si rifiutano di farsi vaccinare, ritengo che il cinema continui a essere importante. Quello che oggi chiamano streaming è in realtà l’home video che gira ormai da una cinquantina d’anni, quando dieci anni fa uscì Avatar, si disse che i film sarebbero stati tutti in 3D, balle, non è andata così, il cinema continuerà a essere quella cosa di cui si gode in una bella sala, insieme al pubblico, supererà la prova del tempo».
Il suo prossimo progetto si intitola «Megalopolis», una storia d’amore, con interpreti come Cate Blanchett e Adam Driver, ma anche un’indagine filosofica sui modi diversi di intendere il potere. Da dove nasce l’idea?
«L’esempio cui mi riferisco è l’antica Roma, quella dove fu creato il sistema repubblicano, ma la storia è ambientata a New York, in epoca moderna, in una fase di corruzione e disfacimento, dove si assiste al rifiuto, al rigetto del Re che, in questo caso, è il sindaco della città, oggetto di una congiura. Ho cominciato a riflettere su tutto questo molti anni fa, utilizzando un quaderno di appunti su cui fissare le idee, il cinema americano ritorna ciclicamente a raccontare storie ispirate all’epopea romana, basta pensare a Ben Hur, al Gladiatore. L’obiettivo è spingere la gente a riflettere su una domanda fondamentale e cioè se è vero che questo modello di società in cui viviamo sia davvero l’unico possibile».
È stato difficile mettere in piedi il progetto?
«Ero pronto a girare già nel 2001, poi c’è stato l’11 settembre e mi è sembrato impossibile raccontare una storia del genere nel clima di quell’America. Anni dopo, mentre cercavo di perdere qualche chilo sul tapis roulant, mi è capitato di ascoltare le registrazioni che avevo fatto a suo tempo con gli attori e allora la scintilla si è riaccesa. Nel frattempo avevo creato la mia società di vini, ne ho venduto una parte, e questo mia consentito di mettere da parte dei soldi per finanziare il film».
Ha parlato dell’importanza del matriarcato, da dove nasce questa sua convinzione?
«Ho studiato tanto la storia dell’umanità e il modo con cui si è evoluta, sono convinto che le donne siano fondamentali, che siano state loro a favorire il progredire dell’umanità, sono loro che donano la vita e quindi sono loro ad aver capito tutto prima. Quello che sta succedendo nel mio Paese è il risultato del dominio patriarcale di uomini "a cavallo" che, negli ultimi diecimila anni, hanno imposto il loro potere. E poi basta pensare alla differenza con cui uomini e donne fanno la pipì. Loro, accovacciate per terra, hanno avuto modo di studiarne la composizione, di scoprire la metallurgia. Gli uomini stanno in piedi, impegnati a guardare la propria ombra, hanno scoperto il tempo. L’uomo è stato la prima clessidra, la donna ha inventato l’agricoltura».