la Repubblica, 27 giugno 2022
A casa di Thomas Ceccon
ERONA – «Perché Thomas ha fatto quella smorfia quando ha stabilito il record del mondo? Glielo abbiamo insegnato noi, sin da bambino gli abbiamo detto di non esultare. Mai. Vedevamo certe scene di ragazzi che vincevano una garetta, era poco educativo, lui non doveva essere così. Se poi qualche volta comincerà ad alzare il braccio mi sembrerà anche giusto». La voce di Loris Ceccon risuona nitida nella cucina della palazzina bifamiliare di Verona dove vive il campione che a Budapest ha sconvolto il nuoto e lo sport italiano, con due medaglie d’oro, una di bronzo, un record del mondo nei 100 dorso, due primati europei, sette record italiani in 14 gare di tre stili diversi. Thomas non c’è, tranne nelle fotografie e nei racconti di papà Loris e mamma Gioia, deve tornare dall’Ungheria nella sua stanza dove campeggia la bandiera olimpica di Tokyo 2020. Si capiscono qui tante cose misteriose, quasi esoteriche di questo ragazzo alto uno e 98, pesante 87 chili, dotato di un fisico perfetto e nato per lo sport, sembra una fase fatta e masticata mille volte fino quando non senti il padre che dice: «In Sardegna era piccolino e già prendeva il largo con maschera e boccaglio, non è mica facile a quell’età, si tuffava dal motoscafo fino a cinque metri di profondità, cacciavamo polpi e conchiglie. Passava otto ore in acqua. Sapeva fare la verticale, aveva il giusto timing col pallone, sapeva sciare e giocare a tennis ma guardi questa foto (c’è Thomas bambino sorridente a bordo piscina, ndr ):magro, braccia lunghe, mani lunghe. Nato per il nuoto. Allora ho cominciato a concepire il Progetto». Dice proprio così, con il fisico dell’atleta che è stato («Giocavo libero nella FiammaVicenza, poi l’Esercito mi ha selezionato nella squadra di pentathlon militare»), con la testa perfettamente rasata e la grinta di chi lavora duro: «Anche 14 ore al giorno, 10 notti al mese, sono un infermiere in strutture pubbliche e private, ultimamente lavoro nel reparto di psichiatria e mi rendo conto di cosa siano i ragazzi alcolisti, quelli del tutto e subito, che rifiutano il sacrificio». Il Progetto è nato quando Thomas e il fratello maggiore Efrem erano la stessa cosa, due fratellini uniti per la pelle e per il cloro. Per realizzarlo, bisognava mettere nella condizione di eccellere i due, che vivevano a Magrè, frazione di Schio, nella provincia di Vicenza senza piscine da 50 metri.
Come un generale, Loris Ceccon passa in rassegna i reparti: «Per il benessere, l’alimentazione, la scuola e la logistica ci siamo impegnati mia moglie, io, ma anche mio figlio Efrem, che ha dato l’esempio a Thomas, e i nonni che ci hanno aiutato in passato. L’aspetto tecnico invece è stato curato dagli allenatori Alberto Burlina e Anna Vallarsa». Col passare degli anni, il Progetto ha previsto: un cambio di piscina da Schio a Olmo di Creazzo quando il futuro recordman aveva otto anni; trecentomila chilometri totali di trasferimenti quotidiani e un’auto da buttare; turni massacranti in ospedale per il padre; licenziamento della madre, ex campionessa di pattinaggio a rotelle, per stare vicina ai figli; l’umiliazione del no al futuro recordman mondiale «da parte del Centro Nuoto Rosà che ci disse che abitavamo troppo lontani» ricorda Loris. E ancora, le sveglie alle 5,50 per il quattordicenne Thomas, che prima di scuola andava a nuotare; il passaggio a un liceo sportivo privato («Perché ancora oggi ci sono insegnantinella scuola pubblica che interrogano il lunedì mattina chi ha fatto le gare nel weekend», spiega Loris). Poi il trasferimento al centro federale di Verona, che divide una famiglia da sempre unita, con Efrem che resta a Schio col padre dopo aver abbandonato la piscina: ora studia da infermiere. Infine, il no alle offerte dei college americani, per non spezzare il filo che tiene unito il Progetto. Ma il prezzo più alto alla fine lo paga la madre, colpita da un ictus da cui si sta riprendendo, continuando ad assistere il giovane campione.
«Come si dice, Cuore di mamma» ricorda la signora Gioia. «Quando vedi un figlio che sta male come puoi sentirti? Ma Thomas è così, nemmeno nei periodi peggiori confidava qualcosa», e il riferimento è agli episodi di nonnismo di cui è stato vittima quando è entrato nella nazionale maggiore. Si parla di valigie zuppe di olio («E toccava a me pulire»), di dentifricio sui vestiti. «C’era un gruppo di atleti che avevano dieci anni in più» ricostruisce il padre, «e facevano scherzi di cattivo gusto. I grandi non hanno accettato né Burdisso né Thomas, forse perché non riservava il rispetto che si aspettavano. Mio figlio non è tipo da leccare il culo. Lui e altri esordienti andavano così con gli atleti stranieri, che li accoglievano sugli spalti, invece di fare il tifo con gli altri azzurri. Non è un caso se oggi lui dice, come ha fatto a Budapest: “L’Italia adesso è un bel gruppo, dove ci si sente uniti, si fa il tifo l’uno per l’altro”. Si fa parte di un gruppo – aggiungo io – dove finalmente lui si sente a suo agio».
Il nuotatore geniale non è stato subito compreso, con tutti gli atteggiamenti che lo rendono unico, stralunato per i più superficiali. Si scopre così che quella parola inglese “achievement” (risultato) che ha usato a sorpresa commentando il suo record del mondo nasce da un videogame, Minecraft. E quel fisico che sembra scolpito, con le leve lunghe e la vita da vespa, è in realtà messo a dura prova dalle merendine che la madre tiene in cucina per la sua colazione: «E una volta i medici della Nazionale se la sono presa con me perché era cambiato il rapporto della massa grassa». In bella vista nel salone c’è il grande amico di Thomas: il divano, sul quale si spalma esausto appena rientrato in bicicletta dal centro federale.
Thomas Ceccon nuota a dorso, a stile libero, a farfalla, perché si annoia facilmente. Per restare concentrato, deve variare. «Era così anche alle elementari» è ancora la madre a parlare, «quando finiva il compito cominciava a strisciare sotto il banco, la maestra lo mise a fare gli origami». La storia di Thomas Ceccon è un immenso origami, con due ali che si aprono verso Parigi.