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 2022  giugno 27 Lunedì calendario

I dislessici hanno una marcia in più

È miope considerare la dislessia - ovvero la difficoltà nella lettura e comprensione di un testo – come null’altro che un deficit: la mente dislessica è frutto di una specializzazione avvenuta durante l’evoluzione che ha portato una percentuale di persone ad avere un cervello più adatto all’esplorazione e all’innovazione.
I sistemi scolastici attuali, ignorando questa predisposizione, non valorizzano le diverse abilità dei dislessici, che rischiano di perdersi per strada e non sviluppare appieno il loro potenziale. È la tesi sostenuta da due esperti dell’Università di Cambridge, la ricercatrice in scienze cognitive Helen Taylor e il neuroscienziato Martin Vestergaard, in uno studio su Frontiers in Psychology .
«La dislessia ha una forte componente genetica e un’ereditarietà del 60%. Ma perché dovremmo considerarla un disturbo biologico dello sviluppo, visto che riguarda un’invenzione esclusivamente culturale, e quindi artificiale, come la scrittura?
Il cervello umano ha oltre 200mila anni, mentre la scrittura è un’invenzione recente – risalente a 5.500 anni fa – e la lettura è diventata un’attività di massa solo da un paio di secoli» spiega Helen Taylor. «L’alta percentuale di dislessici (in Italia è intorno al 5% degli studenti delle scuole primarie e secondarie, altrove può toccare il 20%) suggerisce che quel tipo di mente abbia avuto una sua importanza, riconosciuta dalla selezione naturale. Così ci siamo chiesti: in che cosa eccelle la mente dislessica?».
Consultando gli studi pubblicati sulle capacità specifiche di questa parte di umanità - che nelle scuole rischia di venire stigmatizzata e di perdere fiducia in sé stessa – Taylor e Vestergaard hanno trovato un trait d’union rivelatore: «Il fatto che siano più predisposti degli altri a cogliere il quadro d’insieme delle cose. Ad esempio i dislessici sono più veloci nel riconoscere le cosiddette figure impossibili, ovvero le figure che hanno senso a livello locale ma non se viste nel loro insieme, come i disegni di Maurits Cornelis Escher» spiega Taylor. «Non solo: una mole di studi degli ultimi 40 anni indica che i dislessici sono anche più portati a individuare schemi ricorrenti, a integrare informazioni in modo creativo e a trovare soluzioni originali a un problema. Tutto questo suggerisce che la loro mente sia portata all’esplorazione». Un’attitudinecruciale durante l’evoluzione: «Come tutti gli animali, anche l’Homo sapiens si è trovato ad affrontare un dilemma: è meglio sfruttare le risorse locali o cercare nuove possibilità in ambienti ignoti?» spiega Taylor. «Se ti focalizzi sullo sfruttamento di ciò che hai attorno, rischi di rimanere intrappolato e perdi la capacità di adattarti ai cambiamenti, mentre se esplori in continuazionesenza sfruttare bene ciò che incontri, potresti sprecare energia».
La risposta della nostra specie è stato un adattamento a livello di gruppo: la specializzazione delle menti. «Una parte – numericamente prevalente – di Homo sapiens ha sviluppato un cervello ottimale per lo sfruttamento del già acquisito, più veloce nell’automatizzare il processo della conoscenza, e che quindi oggi riesce meglio in attività automatiche come la lettura» ipotizza Taylor. «Un’altra parte d’umanità ha avuto in dotazione un cervello più portato all’esplorazione e alla novità». Queste due modalità di elaborazione delle informazioni – diverse e complementari – si sarebbero coevolute insieme al linguaggio, migliorando la collaborazione tra individui e la capacità di adattamento ai grandi cambiamenticome carestie e disastri naturali.
Questa ipotesi, secondo i ricercatori, spiegherebbe anche perché le persone dislessiche tendono a gravitare verso professioni che richiedono abilità associate all’esplorazione di idee e concetti e alla previsione di tendenze a lungo termine, come le arti, l’architettura e l’imprenditoria. «Se la scuola riconoscesse questa vocazione dei dislessici, potrebbe, invece di stigmatizzarli, valorizzare i loro punti di forza» spiega Taylor. «Nel nostro studio mostriamo che i periodi in cui il cervello umano è cresciuto maggiormente, e quindi probabilmente si è specializzato di più, coincidono con le più intense fluttuazioni del clima. Abbiamo bisogno della creatività dei dislessici anche per affrontare le grandi sfide climatichedi oggi».