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 2022  giugno 27 Lunedì calendario

l passo lento e costante di Damiano Tommasi

Al comitato elettorale i suoi sostenitori, molti in t-shirt gialla, tanti giovanissimi, lo aspettano intonando «Bella ciao». Damiano Tommasi arriva dopo mezzanotte ed è già sindaco. Si tuffa nella folla, abbraccia e bacia tutti, qualcuno piange, altri fanno fontane con bottiglie di spumante. Sembra la festa dopo la finale del campionato mondiale. «La prima cosa che farò? – risponde lui —. Festeggiare con quanti si sono dati da fare. Se lo meritano».
Tommasi e il suo popolo, l’ex calciatore che dopo la giocata più importante della sua vita mantiene toni pacati, che si fa fatica persino a sentirlo nella bolgia che lo osanna. «Ci siamo messi in gioco per fare una cosa che questa città aspettava da tempo. Questo entusiasmo si spiega col fatto che non era semplice».
Damiano, come lo chiamano tutti in città, è riuscito a imporre il suo stile. Dicono che nella Roma dello scudetto del 2001, che schierava gente come Totti, De Rossi e Batistuta, era lui il vero perno del gioco. Gli è sempre piaciuto dettare tempi e regole, ma a modo suo. «Centrocampista atipico» lo definì l’allenatore Fabio Capello, e anche adesso si fa fatica a incasellarlo. Già cinque anni fa gli proposero di correre per diventare sindaco, lui rispose cordialmente di no perché era impegnato alla guida dell’Associazione italiana calciatori.
Un sindacalista, ancora una volta atipico, rappresentante di una categoria privilegiata, a volte più forte degli stessi datori di lavoro. Un ruolo complicato, in cui ha imparato l’arte della diplomazia e la capacità di offrire un punto di vista insolito. Come fa adesso: «Abbiamo provato a proporre un modello di politica diverso: civico, autentico, partecipato».
Tommasi ha sempre avuto visione di campo e la consapevolezza che il gol non nasce dall’improvvisazione. Ha chiamato la coalizione che l’ha sostenuto «Rete!», nome che gioca con il suo passato e mostra la volontà di unire a dispetto dei distinguo. «Abbiamo superato gli steccati – spiega con orgoglio – Abbiamo parlato di futuro e di giovani, sono contento di aver radunato tanta gente attorno a questo progetto». È partito da lontano, da un anno organizza tavoli tematici, incontri e dibattiti. «Ascolto», «giovani» e «futuro» sono le parole che ha ripetuto più spesso.
Padre di sei figli, durante tutta la campagna elettorale ha preferito parlare di sostenibilità, ambiente e dialogo con il territorio. Ha detto che in questi anni «la città è rimasta ferma», che deve «riconquistare un ruolo europeo», che deve «diventare attrattiva per i ragazzi». Non ha mai attaccato personalmente i rivali, ha assistito alla lite fratricida nel centrodestra senza infierire. Si è invece concentrato sul proprio cammino che lo ha portato a diventare primo cittadino. «Per me è solo una tappa della mia vita – risponde e sembra davvero sincero —. Ma per Verona oggi è un giorno importante». Di sicuro non ha solo guadagnato la fascia tricolore ma è diventato un protagonista della politica nazionale. Un leader, come quando giocava, ma a modo suo.