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 2022  giugno 27 Lunedì calendario

Su "Un digiunatore di Franz Kafka" di Tullio Pericoli (Adelphi)

Da dove cominciare: da Kafka o da Giacometti? Cominciamo da tutti e due insieme, o meglio dallo spazio inimmaginabile in cui lo scrittore praghese e lo scultore svizzero si incontrano, e cioè dal nuovo libro di Tullio Pericoli ( Un digiunatore di Franz Kafka , Adelphi, da domani in libreria). È lo spazio immaginario che Giuseppe Montesano ha chiamato la Wonderland di Pericoli, nel quale non si sa dove siano l’alto e il basso e in cui può succedere appunto di incontrare Kafka con Giacometti, che nella vita vera non si sono mai incontrati. Nel «resoconto» che chiude il libro, Pericoli la racconta così: dall’intenzione di dare «una forma e un aspetto concreto» al protagonista di Kafka malinconico e sfuggente, magro, pallido e dalle costole sporgenti, linea dopo linea si è materializzato sul foglio qualcosa di imprevisto: «Di colpo ha preso corpo la visione di una forma, di un’ombra che ho riconosciuto all’istante: Giacometti». Ha preso corpo… Non stiamo parlando di una rivelazione intellettuale, ma di una visione «concreta» che si fa corpo e proviene dal corpo, dal braccio che si tende, e dalla spalla che lo aiuta, dalla mano che si muove e dalle dita e dai polpastrelli che la accompagnano. Ormai, dopo aver letto Arte a parte , conosciamo bene i pensieri di Pericoli sul e nel farsi della sua arte, sappiamo che l’ipirazione alberga nei muscoli, nei tendini, nei nervi del pittore ed è difficile (inutile?) dire se viene prima o dopo o insieme al gesto che traccia il segno.

La cosa impressionante è che a guardare il risultato dei dipinti, dei ritratti, dei disegni, dei «frammenti» di Pericoli, a tutto si pensa tranne che alla fatica di un corpo che ha lavorato, anzi è come se quel corpo avesse impiegato tutte le sue energie per cancellare quella fatica dagli occhi di chi guarda. Esattamente l’opposto di ciò che accade con Giacometti, che invece fa agire la matita indefessamente per lasciare ben incisa nella vista (e nella mente) il tormento del fare e del pensare quel fare.

L’azzardo del nuovo libro di Pericoli è quasi da prestigiatore dell’arte: riuscire a far levitare Kafka e Giacometti, creare delle fantasmagorie aeree utilizzando i loro stessi materiali verbali e visivi. Potrebbe anche intitolarsi, riprendendo un suo titolo felice di pochi anni fa, Incroci: perché si tratta del crocevia in cui Pericoli fa incontrare Kafka e Giacometti e in cui lui stesso incontra Kafka e Giacometti, i quali probabilmente gli sono grati — e vedremo perché — di avere preparato questo felice appuntamento, anche se, come si è visto, non c’è nulla di «preparato». O forse sì, nel senso che c’è sotto una sorta di gioco da ragazzi, la curiosità eccitante di portare fino in fondo lo scherzo generato da una scintilla misteriosa. La curiosità di capire che cosa succederebbe se lasciassimo dialogare liberamente quei due timidi, geniali misantropi. Succede quel che non avremmo mai immaginato: intanto ci si diverte (è evidente che anche Pericoli si è divertito), ma soprattutto ci si stupisce del miracolo che si va svelando sotto i nostri occhi: è come se quei due si fossero sempre parlati e conosciuti, e se conoscendosi diventassero un’altra cosa rimanendo sé stessi.

Quel che fa Pericoli è (in apparenza) semplicissimo: ripropone il racconto di Kafka, uno dei suoi racconti più oscuri, più comici, più assurdi e insieme più angosciosi e testamentari (lo ripropone nella traduzione di Anita Rho, datata 1934), e lo affianca ai suoi disegni, nella pagina di sinistra il testo, a destra l’immagine: ne viene fuori un’opera nuova che è un «racconto per disegni», gemello di quello che Pericoli dedicò anni fa a La casa ideale di Stevenson. Qui, nel Digiunatore, l’elemento scatenante sono le figurine appuntite come compassi con cui Kafka rappresentò a matita il suo «artista del digiuno», ingabbiato e sorprendentemente simile a una celebre scultura creata da Giacometti nel 1947, l’uomo che cammina sotto la pioggia. Il quale, camminando a testa bassa, grazie al «sogno» di Pericoli incontra e dialoga con il suo sosia kafkiano.

Scritto nel 1922, nell’anno della sua morte, il 1924, Kafka lo riunì con altri tre «racconti di artisti» sotto il titolo eponimo, Ein Hungerkünstler mette in scena un virtuoso della fame: un uomo che trascorre giorno e notte in una gabbia senza mangiare, richiamando a sé una folla di visitatori che pagano pur di osservare quel mucchietto di ossa. Quaranta giorni sono il limite estremo dell’esibizione, oltre il quale, secondo il suo impresario, decade l’attenzione del pubblico. Il digiunatore vorrebbe superare quella soglia e invece la legge del mercato gli impone di arrendersi, trascinato fuori dalla gabbia per sorbirsi un pasto, tra la banda festante e il pubblico plaudente. Passata la moda del digiuno, l’artista della fame si ritroverà in un circo, vicino alle stalle, e infine sarà sostituito da una pantera che esibirà al pubblico osannante la sua arte di sbranare.

Già con l’immagine di copertina siamo dentro il racconto visivo di Pericoli: si tratta di una gabbia, posta su due piedistalli, entro cui si riconosce l’uomo di Giacometti, inclinato in avanti come pronto a partire su una tavoletta da surf. Già si trova spiazzato chi sa che la scultura nel dare l’idea immediata del movimento è però zavorrata al terreno da due piedoni imponenti, come protesa in uno sforzo impossibile. Si apre il libro, e ci si trova in un’esplosione vulcanica (o un big bang) i cui lapilli sono un’infinità di minuscoli camminatori giacomettiani dispersi nell’atmosfera; giriamo e ci imbattiamo in schiere indistinte e sparute di omìni (automi?), briciole, moscerini schiacciati. Sul fondo, la striscia alta è occupata da una gabbia vuota.

Più in là, dalla gabbia vuota uscirà un braccio scheletrico orizzontale che termina in una mano aperta a stella. Sostenuto da un piedistallo sottile, lo riconosciamo immediatamente come una delle sculture bronzee più famose di Giacometti. È il braccio del digiunatore che dalle sbarre si offre al tatto del suo pubblico (invece famelico). Procedendo, si insinua il colore, ritornano i camminatori in massa, oppure in solitudine o sdoppiati o triplicati, colorati e/o ridotti a lische di pesce, a volte si confondono con le silhouette del digiunatore di Kafka: li incontriamo su piani paralleli e ondeggianti (ancora strutture giacomettiane), sempre sostenuti dai loro piedistalli per non dimenticare che un motivo dominante è la riflessione sull’arte e sul suo pubblico, sull’ossessione divorante (questa sì) dell’artista che ignora le mode e si oppone al potere (Don DeLillo ha paragonato il digiunatore di Kafka a certi artisti ribelli contro il totalitarismo). Si capisce invece che l’ossessione, per Pericoli, è puro piacere. Anche per questo la pagina si anima e prende movimento, così come l’uomo di Giacometti, che comincia a gesticolare, ad aprire le sue lunghe braccia facendosi prestigiatore, finché sembra farsi coraggio e si libera finalmente della propria zavorrata immobilità: è questa l’ispirazione creativa che si effonde dai muscoli, dai tendini dell’artista di cui ci ha parlato Pericoli in Arte a parte? (Siamo in un racconto autobiografico in cui Pericoli ci fa vedere come nasce la sua arte? È lui il digiunatore-prestigiatore?).

Incredibilmente sia Kafka sia Giacometti stanno allo scherzo di Pericoli, capiscono che Pericoli sta liberando le loro figure come forse loro avrebbero sempre voluto, così il digiunatore depresso diventa un clown, un acrobata, un illusionista, perde peso, vola, si innalza a testa in giù, si traveste, levita, anche se qua e là ritornano le ombre del bianco e nero (c’è un’immagine da metropoli industriale che ricorda Masereel a sua volta levitato), le mani aperte adesso sono quelle del pubblico che vuole sfiorare il suo idolo, possederlo, i digiunatori si moltiplicano, si sovrappongono, si frantumano in un pulviscolo. Poi, appare come un’allucinazione, il tendone colorato di un circo. Non è un’illustrazione, il racconto di Pericoli, o un commento, è ciò che Kafka e Giacometti avrebbero inventato a quattro mani se si fossero ritrovati per caso, insieme, in una Wonderland di Pericoli. Grati per questa imprevista possibilità di vita.