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 2022  giugno 25 Sabato calendario

Orsi & tori

«Forse vi sto annoiando, quindi vado alle conclusioni…». L’onestà intellettuale e la buona educazione sarda hanno fatto dire ciò al presidente della Consob, professor Paolo Savona, proprio mentre il suo pensiero si faceva più profondo e utile, martedì 21, anche a una platea, nel salone della Borsa, che era stata abituata a relazioni annuali burocratiche da parte dei presidenti della Consob.

Ma non era stato così quando Tommaso Padoa Schioppa, fresco delle esperienze in Banca d’Italia era stato nominato, negli anni 90, presidente della Commissione nazionale per le società e la Borsa e comprese la necessità di un incontro annuale con e per i mercati, sul modello della relazione annuale del governatore della Banca d’Italia. Fu anche la prima relazione nel palazzo della Borsa ma anche


quella di un livello come non si era mai avuto ai vertici della Commissione. Savona, avendo le stesse radici di Padoa Schioppa, al tempo in cui la Relazione del governatore della Banca d’Italia segnava la linea di gestione economica dei governi, contrariamente alla noia da lui stesso evocata con ironia, ha letto un capitolo fondamentale e coerentissimo al ruolo, di come mettere a frutto il grande risparmio italiano e di come proteggere questo risparmio.

Con il titolo inequivocabile «Una proposta alternativa a una stretta di politica monetaria e fiscale: un portafoglio che si autoprotegga dall’inflazione» Savona ha a un tempo messo a nudo il dato sul quale tutte le persone di buon senso insistono da tempo, e cioè l’enorme risparmio italiano, e il fatto che esso non sia utilizzato per lo sviluppo del paese. E anche che sia, l’investimento, autoprotettivo dall’inflazione per i risparmiatori che lo effettuano. Qualcuno, che biascica economia, avrà pensato che sia una chimera quella enunciata da Savona e invece la sua profondità di pensiero, maturata per anni a capo dell’ufficio studi di Bankitalia ma poi al seguito di Guido Carli in Confindustria con la qualifica di direttore generale dell’organizzazione delle imprese industriali, e poi più volte ministro, ha offerto al governo, per l’anno che gli rimane, una ricetta e una prospettiva che ha riscosso e riscuote molto consenso.



Per presentare la sua proposta, il presidente della Consob ha fatto due volte efficacemente richiamo alla Costituzione:

1) il dettato considera il risparmio un bene pubblico perché realizzandosi fa, o meglio può fare, il bene di tutti, finanziando le attività produttive e quindi lo sviluppo;

2) il rafforzamento della componente produttiva verso la quale dirigere i risparmi trova validazione giuridica nell’art.47 della Costituzione, dove è detto che la protezione (del risparmio) la si ottiene con l’incoraggiamento «diretto», dice appunto la Costituzione, «e indiretto all’investimento azionario del risparmio popolare nei grandi (e piccoli) complessi produttivi del Paese». E ha aggiunto il prof. Savona: «Questi investimenti offrono una robusta base per lo welfare integrativo e autogestito dai membri di una società a bassa produttività e fertilità; affrontare l’invecchiamento della popolazione con un sistema pensionistico per la gran parte ancorato a metodi di ripartizione solidaristici non pare adatto allo scopo di ben servire il ciclo vitale dei cittadini e garantire la stabilità macroeconomica reale e finanziaria del Paese».



Il fatto (o il guaio) è che, come ha certificato anche il governatore Ignazio Visco nella sua relazione annuale, soltanto il 5% della ricchezza italiana viene destinato ad attività produttive. Le ragioni, i miei tre lettori le conoscono bene: un mercato dei capitali, una borsa per le quotazioni che non è da terzo paese più importante dell’Europa nonché membro del G7, ma da modesto paese europeo, con una capitalizzazione, che se si escludono le banche certamente fondamentali ma non struttura produttiva industriale, è di appena 653 miliardi di euro. E un mercato d’ingresso, l’ex-Aim ora Euronext growth Milan(o) (aggiungere la «o» è, sarebbe di dovere, non solo per evitare l’assonanza con la squadra di calcio), dove dopo 10 anni risultano quotate 180 società piccole e medie per una capitalizzazione di circa 10 miliardi di euro.

A fronte di questi micro-mercati c’è una ricchezza degli italiani che per oltre il 40% è gestita da operatori stranieri e che comunque per il 75% è investita in attività estere. In altre parole, il risparmio italiano finanzia lo sviluppo estero e così il tanto amato denominatore (anche dal presidente Mario Draghi) nel rapporto con il debito batte la fiacca da ben prima del 2008. E se al denominatore che cresce poco o niente si contrappone un numeratore, il debito, che sale al 150%, dovrebbe essere evidente a tutti che la formula proposta dal professor Savona vada presa in seria considerazione: «Il circolo virtuoso si crea incentivando e tutelando il risparmio». Punto. Chi può dire che non sono parole sante? E specificamente: «L’attuazione della proposta avanzata di una politica di incentivazione (non c’è bisogno di aggiungere in che modo, se non con la leva fiscale e sociale, ndr) e tutela del risparmio rappresenterebbe una risposta concreta alla necessità e alla volontà ripetutamente espresse di indirizzarlo verso l’attività produttiva, in quanto lo incanalerebbe verso la formazione di nuovo capitale, dato che a ogni investimento mobiliare, che incorporerebbe i titoli di proprietà e di debito delle imprese produttive, corrisponderebbe un ammontare proporzionale di investimenti immobiliari, i quali storicamente hanno avuto un ruolo trainante nelle fasi di ripresa produttiva e occupazionale». E aggiunge Savona: «Nella soluzione proposta, il capitale finanziario e quello produttivo sarebbero le due facce di una stessa medaglia presente in ciascun portafoglio liberamente costituito, con effetti positivi sul quadro macroeconomico».

Chiaro? Il risparmio in Italia c’è, secondo solo a quello giapponese ed è il grande vantaggio della penisola insieme alla capacità delle aziende di esportare, quindi di essere competitive con quelle di tutto il mondo. Non c’è che da creare le condizioni, quelle di incentivazione, perché esso venga investito in Italia nelle attività produttive.

Ma da presidente della Commissione che deve tutelare il risparmio, il professor Savona si è spinto anche, con la tradizionale lucidità, nell’indicare qual è la formula che può garantire il risparmio dalle fluttuazioni dei mercati. E la forma è insita nella natura spontanea degli italiani, che da sempre investono in immobili, a cominciare dalla loro casa di abitazione; ma oggi esistono anche i fondi comuni immobiliari che possono, anzi devono, far parte del basket degli investimenti, considerato anche ciò che il presidente Savona ha precisato nella descrizione del meccanismo positivo di crescita degli investimenti immobiliari in quanto aumenta lo sviluppo delle attività produttive.

Ma dopo la proposta c’è anche il richiamo alle inadempienza del sistema governativo e parlamentare italiano in materia di tutela del risparmio. Infatti, ricorda Savona «…un serio tentativo di trovare piena soddisfazione dei valori costituzionali in materia di risparmio (insieme alla tutela del credito) risale al 2005 con la legge n. 262, che aveva previsto la creazione di una Commissione per la tutela del risparmio e di un Fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori, governati da principi fissati da uno Statuto dei risparmiatori e degli investitori. Le deleghe di attuazione al Governo e al parlamento sono scadute, essendo trascorsi i tempi previsti dalla legge, anche se occorre dire che il compito è stato intrapreso e integrato dall’Unione europea…». Ma una cosa è una legge italiana, chiara, precisa, e un’altra una normativa europea.

Se il governo presieduto da Mario Draghi, che ha al suo interno buona parte del sapere della vecchia e nuova Banca d’Italia, vuole passare alla storia della rinascita del paese dovrebbe cominciare da domani a elaborare i provvedimenti per attuare la proposta elaborata dal prof. Savona, la cui matrice culturale e politica è la stessa, essendo nati o decollati tutti in Banca d’Italia.

Speriamo che nei gravosi impegni europei e del G7 per cercare di favorire la pace in Ucraina, il presidente del consiglio trovi il tempo per far avere almeno sotto l’albero del prossimo Natale un piano organico per l’utilizzo produttivo del grande risparmio italiano, oltre che per l’attuazione del Tagliadebito, il cui appello lanciato da ItaliaOggi sta riscuotendo il consenso e la firma di tutto il mondo economico, bancario, finanziari, tecnologico, politico che conta.

Grazie Professor Savona!

* * *

È del resto tanto più necessario un piano per la mobilitazione del risparmio italiano e la sua contemporanea protezione, a causa del drammatico oblio della globalizzazione. Gli anglosassoni hanno coniato il neologismo «slowbalization». L’integrazione economica che aveva preso avvio fin dall’inizio degli anni ’70 con il disgelo fra Stati Uniti e Cina teorizzata da Henry Kissinger, ha avuto il colpo decisivo, dopo il rallentamento a partire dal 2010, con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.

Ci mancava la pandemia e poi la guerra in Ucraina. Per bene che vada, ci sarà un nuovo tipo di globalizzazione.

Intanto le grandi aziende stanno isolando, lasciandole alla loro autonoma capacità, le filiali che nei paesi in via di sviluppo avevano offerto la possibilità di produrre a costi bassi incentivando così la crescita della circolazione dei beni e dello sviluppo. Invece la circolazione delle merci si è rallentata; in alcuni casi, come per i chip, si è verificata una vera e propria carestia che ha paralizzato l’industria automobilistica ma non solo. Anche Apple, attraverso il suo capo Tim Cook, teme che ci possa essere una riduzione delle vendite fino a 8 miliardi di dollari in un trimestre.

Indiscutibilmente, tutto ciò è accaduto anche perché inevitabilmente i paesi del mondo sviluppato si sono trovati produttivamente dipendenti dei paesi autarchici e in particolare della Cina, che a partire dalla creazione della Nuova Cina da parte del vicepresidente Deng Xiaoping, ha sottratto alla fame oltre un miliardo di cittadini.

La globalizzazione sta cedendo sempre più spazio al protezionismo. Sono le catene di approvvigionamento che stanno entrando in crisi e il Fmi ha calcolato che se la struttura produttiva dei vari settori dovesse essere duplicata per l’interruzione dei flussi fra paesi del mondo occidentale e quello orientale, i costi aumenterebbero di un importo pari al 2% del pil mondiale.

Chi ha elaborato questi dati sta predicando moderazione. La globalizzazione ha creato cittadini globali anche nella mentalità. Abituati a comprare dove più era conveniente, ma anche a spostarsi con libertà da un capo all’altro del mondo, sapendo che dovunque avrebbero trovato i loro prodotti e servizi preferiti… con i più colpiti dalla crisi globale, che trovano ora una reale globalizzazione di fatto solo nel Covid.

Ci sarà una resipiscenza? Ci sarà una nuova forma di globalizzazione? Tutti coloro che hanno buonsenso, una volta superata la guerra, lo sperano. Ma a poter determinare un tale recupero occorre che non si stanchi di essere attivo chi ha potere di influire su tutte le opinioni pubbliche e di conseguenza sui governanti.

Il rischio è che si ripeta quanto avvenne negli anni ’30 con il nazionalismo: come difesa, le filiali estere furono abbandonate a se stesse e il mondo marciò verso la Seconda guerra mondiale.

I più convinti che il commercio globalizzato abbia la capacità di rendere il mondo migliore sono in primo luogo i tedeschi, anche se sono consapevoli che grazie alla globalizzazione 1/3 del pil mondiale è in mano ai paesi autocratici.

Il risvolto diretto di quanto sta accadendo nell’economia globale lo si ha sui mercati finanziari e borsistici, perché la risposta all’inflazione è stato l’intervento delle banche centrali che hanno rialzato il costo del denaro. E le azioni americane sono scese del 20%. La Fed predica che riuscirà a controllare l’inflazione con l’aumento dei tassi, ma intanto l’inflazione degli Usa è arrivata all’8,6%.

Tutto ciò non sarebbe accaduto se il presidente Trump non avesse dato una spinta decisiva alla fine della globalizzazione, già in discesa con la sua politica dei dazi. Se non lo avesse fatto (e forse proprio per questo il successore Joe Biden proprio in queste ore sta ripensando ad abolire o modificare i dazi con la Cina) il mondo certo sarebbe più vivibile e più sereno.