la Repubblica, 25 giugno 2022
Renzo Piano: «Diamo bellezza agli ospedali»
Renzo Piano sembra un ragazzo emozionato di 84 anni e non il grande architetto che ha riempito il mondo di musei, teatri, scuole e opere architettoniche straordinarie: «La nuova frontiera sono gli ospedali. Siamo di fronte a una svolta, bisogna saper cogliere lo spirito dei tempi».
Forse è questo il segreto, gli occhi che si accendono. Forse solo chi ha questa luce riesce a concepire opere visionarie. È sorridente, fa pensare a un Don Chisciotte che ha imparato a misurare i sogni. Sediamo per l’intervista nella “casa della luce”, una grande sala di vetro sotto il tetto del Centro Culturale della Fondazione Stavros Niarchos, l’opera che ha realizzato qui ad Atene proprio negli anni in cui la Grecia attraversava una devastante crisi economica. La vista toglie il fiato: la città abbacinante ci circonda. «Ripartiamo da qui, da dove tutto è cominciato, dal cuore della civiltà europea».
Davanti a noi, su un tavolinetto, il plastico dell’ospedale che verrà costruito a Komotini, nella periferia nord del Paese. Altri due saranno a Salonicco, in Macedonia, e a Sparta, nel Peloponneso. Prima c’è stato quello con Emergency in Uganda. «Un altro lo stiamo progettando a Palermo, mentre a Bologna stiamo ultimando un hospice pediatrico, poi verrà il grande ospedale diParigi».
Ha scelto di progettare ospedali prima della pandemia, ha capito in anticipo che era quella la nuova frontiera?
«Siamo di fronte a un cambiamento epocale, si è intuito che bisognava rimettere al centro della cura l’umanità. Negli ultimi settant’anni gli ospedali hanno perso il contatto con le persone, sono diventati fredde macchine per guarire, anche quando sono centri di eccellenza».
Perché proprio in Grecia?
«In questo piccolo Paese risiedono le radici della democrazia, come sappiamopolitica viene da polis .Pensi al discorso di Pericle agli ateniesi: “Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi. Qui ad Atene facciamo così…”. Nell’antichità inoltre i politici giuravano di fronte ai cittadini di restituire la città di Atene più bella di come l’avevano ricevuta in consegna.
Kalos era la parola e rimandava a una dimensione etica».
La parola “bellezza” può trarre in inganno?
«La uso infatti con parsimonia, quasi con pudore, e facendolo non alludo certo a qualcosa di frivolo ma ad una bellezza profonda. Nell’antica Grecia, come le accennavo, il bello e il buono, kalos kagathos , erano intimamente legati. Accade così anche in Africa, nella lingua swaili. La bellezza è un’esplorazione della verità come dimostrano gli antichiasklepieion , che erano templi diguarigione. Gli ospedali dovrebbero ricordarsi di quei luoghi, di quella bellezza originaria che precede la scienza medica, rispettandola, s’intende».
L’architettura ha sempre un’anima politica?
«Ogni opera architettonica riguarda lapolis e le persone chela abitano. Dobbiamo essere in grado di ricostruire un nuovo umanesimo e gli ospedali sono gli avamposti di questa rivoluzione.
Per questo, anche quando sono finanziati dai privati — in questo caso interamente dalla Fondazione Niarchos — debbono rimanere pubblici. Con UmbertoVeronesi parlavamo spesso del bisogno di restituire alle cure una dimensione umana».
È un’idea quasi rinascimentale. Crede che i tempi attuali, funestati da malattie e guerre, laconsentano?
«I momenti di crisi sono i più opportuni per sperimentare nuove vie. I mutamenti avvengono sempre in periodi di passaggio, in cui si è chiamati a scegliere, che è poi l’etimologia greca della parola krísis. Noi tentiamo di farlo creando edifici immersi nel verde. Vedere gli alberi fuori da una finestra quando si è ricoverati può fare la differenza. Gli ospedali sono luoghi di pathos, di passione e ansia, vivono in un tempo e in una dimensione sospesa ma, come la natura, sono anche luoghi di rigenerazione. Per questo sono importanti gli spazi comuni, la trasparenza, la luce: tutti elementi che costruiscono un senso di comunità».
Nel libro “Atlantide”, scritto con suo figlio Carlo, racconta i suoi sopralluoghi prima di ogni progetto per prendere confidenza con l’ambiente.
«Ogni posto ha un suo genius locima per scoprire qual è bisogna saper ascoltare. La Grecia è terra di brezza e di venti. E di una luce forte. Il luogo è importante: mi ricordo un giorno con Gino Strada in Uganda, sul lago Vittoria. Gino a un certo punto raccolse da terra un pugno d’argilla. Se non fossimo stati lì, se non avessimovisto e toccato, l’ospedale forse sarebbe stato diverso. Pensi al cinema. I grandi registi neorealisti possedevano l’arte di guardare la realtà. Senza questa capacità si cade nella trappola dell’accademia e si perde la connessione con umori, suoni, voci. A Noumea, in Nuova Caledonia, passavo le ore seduto sui tronchi ad ascoltare i venti alisei».
È anche questa una via per realizzare un’architettura sostenibile?
«Sono genovese, cresciuto nel Mediterraneo, la Grecia è una terra che mi appartiene. I tre ospedali di Komotini, Salonicco e Sparta saranno costruiti in legno, un materiale sobrio, bello e adatto alle zone sismiche.
Lo prendiamo dalle foreste bulgare, dove poi ripiantiamo alberi. La sfida è costruire edifici a emissioni zero, che non consumano energia e che rispettano la terra che li ospita.
Sono emozionato come cinquant’anni fa».
Si sente lo stesso ragazzo che progettò il Beaubourg?
«Allora abitavo a Londra. Erano gli anni dei Beatles, dei concerti in piedi nelle strade. C’era un’effervescenza contagiosa.
Eravamo liberi, forse incoscienti.
Con Richard Rogers progettammo un museo aperto, il contrario di un mausoleo. Ora mi sento come allora. Possiamo di nuovo rompere un tabù. Così cambia il mondo».