la Repubblica, 25 giugno 2022
Tabacci tifa Di Maio
Bruno Tabacci, navigante di lungo corso del Transatlantico e generatore di accordi al centro dello schieramento politico: lei ha offerto a Luigi Di Maio il suo simbolo per fare il gruppo al Senato. È la base per un’intesa politica che lanci alle elezioni l’area Draghi?
«Una premessa: io non voglio tirare per la giacca nessuno e tanto meno il presidente del Consiglio Draghi per il quale ho troppo rispetto e stima, oltre a un legame di amicizia di lunga data. Ma credo che chi, come il ministro Di Maio, in questo anno e mezzo si è riconosciuto in un certo modo di fare politica, che bada alle esigenze del Paese senza strepitare, abbia il diritto-dovere di proporre agli italiani con serietà la continuità di un metodo e una proposta anche per gli anni a venire. Ricordiamoci che fino al 2026 l’Italia si gioca tutto con l’impegno assunto in Europa del Pnrr. La questione del simbolo per la costituzione del gruppo al Senato è solo un corollario tecnico di questo ragionamento».
Il Terzo polo è un’idea già tramontata?
«Di Centro si potrà parlare solo se ci sarà una legge elettorale proporzionale con le preferenze.
Che personalmente voterei già domani. Ma non so se ci siano i numeri per approvarla. Finché non c’è, inutile parlare di Centro, che comunque non mi interesserebbe se fosse il luogo delle convenienze e delle furbizie di chi ritiene che si possa stare ugualmente di qua o di là. Quello che il Paese non potrà permettersi è mettere in discussione la sua collocazione europeista ed atlantista, la difesa dell’euro, il rispetto degli impegni assunti con il Pnrr. Il discrimine sarà su questi temi: o a favore o contro. Vediamo chi sono quelli a favore e proviamo a metterli insieme».
Possibile far convivere Conte e Di Maio in questo progetto?
«Tra la chiarezza di linea di Di Maio e le ambiguità strumentali dei 5S non ho dubbi naturalmente su quale sia la parte giusta. Ma credo anche che si debba tenere aperto un dialogo con Conte fino all’ultimo per mantenere il Movimento dentro il perimetro della maggioranza e poi per costruire una coalizione competitiva che possa superare una destra attraversata da irresponsabili pulsioni anti europeiste già da molto prima dell’attacco russo all’Ucraina.
Il Conte che ho apprezzato e sostenuto fino in fondo è stato quello del suo secondo governo. Io penso che possa avere un ruolo importante alle prossime elezioni, se recupera l’aplomb istituzionale del suo secondo governo».
C’è anche un nuovo attivismo dei sindaci, primo fra tutti Beppe Sala: che ruolo potrebbe avere il sindaco di Milano in questo processo?
«Sala ha dichiarato che la politica lo interessa ma intende continuare a fare il sindaco di Milano. Ho trovato le sue parole ineccepibili. I milanesi, me compreso, lo hanno appenaconfermato per un secondo mandato apprezzando evidentemente il lavoro già svolto.
Detto questo il contributo che moltissimi sindaci come Sala possono dare in questo momento storico della politica italiana è di straordinaria importanza. La messa a terra del Pnrr riguarderà anche i Comuni».
Calenda pone veti su Renzi e Di Maio e immagina una corsa autonoma. È una prospettiva fattibile?
«Io sono stato nella Dc in cui convivevano giganti della politica come Marcora e De Mita, Moro e Fanfani, De Gasperi e Dossetti.
Nell’interesse del Paese oggi non possono convivere leader che si riconoscono nella linea del governo Draghi come Di Maio o Calenda, il cui dinamismo comunque apprezzo?
Non ci voglio credere e lavoro, come mi pare stia facendo coerentemente Enrico Letta, perché inizino a dialogare. D’altro canto la corsa solitaria può anche essere affascinante, ma finché resta questo meccanismo elettorale significa far vincere la destra di Giorgia Meloni.
Legittimo, ma non è la prospettiva che mi auguro».
La scissione dei 5S e gli avvertimenti lanciati da Salvini lasciano immaginare l’uscita dalla maggioranza da parte di Conte e della Lega: quanto è concreto questo scenario?
«In politica tutto è possibile. Ma quello che è successo ai 5 Stelle potrebbe capitare anche alla Lega.
Ecco perché non credo convenga a nessuna forza dell’attuale maggioranza tagliare i ponti con il governo. I primi a non capirlo sarebbero comunque gli elettori».