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 2022  giugno 26 Domenica calendario

I 105 anni di nonna Lidia Benedetti (ha vissuto due guerre e due pandemie. Odia le minestrine e usa il cellulare)

Ben 17.177 italiani hanno superato il secolo di vita. Fra questi, oltre mille hanno più di 105 anni. Il record lo detiene una superanziana marchigiana, che ne ha 112. Sono i dati (aggiornati al gennaio 2021) diffusi dall’Istat sui centenari del Belpaese. Lidia Benedetti, 105 candeline il 16 ottobre scorso, è una di loro.
Capelli freschi di parrucchiere, modi eleganti, manicure e pedicure appena fatte, nonna Lidia tiene ancora molto al suo aspetto. La foto che le hanno scattato per l’ultima festa di compleanno la ritrae sorridente, circondata dalla sua famiglia: decine di nipoti e pronipoti che, a turno, vanno a trovarla nella sua casa di Palermo, città che, 24 anni fa l’ha adottata. «La amo per il clima – racconta – ma sono nata a Ferrara e la mia casa resta quella». Il segreto della sua longevità? «Non saprei. Non seguo un’alimentazione controllata, nonostante mia nipote Valentina cerchi di propinarmi minestrine. Sono vecchia, mica malata – scherza —. E bevo pochissimo, anche se i salutisti dicono che si debba bere molta acqua. I miei familiari sostengono che il mio elisir di lunga vita siano i broccoli di cui sono ghiotta». Lidia amava cucinare, cucire e lavorare a maglia. «Il ricamo? Mi piaceva molto, ma la vista non è più quella di prima, ho dovuto rinunciare». Del passato ricorda tutto e ama raccontare la sua storia. Dalla partenza per l’Africa con i genitori e il fratello, alla fuga rocambolesca da Mogadiscio dopo la guerra. «Avevo 17 anni quando lasciammo Ferrara. Partii con i miei per la Somalia, mio padre era un ufficiale dell’esercito. Ed è in Africa che conobbi mio marito Gaetano, veniva da Palermo. Un colpo di fulmine e un amore durato più di 60 anni, fino al ’98, quando ci ha lasciati».
«Fu passione a prima vista – ricorda – Era biondo, occhi chiari, non avrei mai detto che era siciliano». Scambio di sguardi a messa, un corteggiamento a distanza con poche occasioni di incontro, poi il matrimonio nel 1936 da cui sono nati 4 figli. «Allora prima delle nozze mica ci si frequentava. Da fidanzati ci saremo parlati dieci volte, ma furono sufficienti per capire che era amore. Ci sposammo a Mogadiscio e restammo in Africa fino al 1947. Vivevamo bene lì, eravamo felici, avevamo terreni. Ricordo quegli anni con grande nostalgia».
Con l’occupazione inglese e la sconfitta italiana Lidia è costretta a scappare. «Ci dicevano che ci avrebbero ucciso – racconta —. Così lasciammo il Paese, la casa, le proprietà, tutto. Riuscimmo solo a portare con noi qualche oggetto di valore cucendocelo sotto i vestiti». In Italia fa rientro che è già madre e moglie. Qualche anno a Como, poi a Palermo.
Oggi Lidia vive con due figli, Filippo e Franco, e non ha una badante: «Non ne ho bisogno». Come trascorre le giornate? Sveglia presto, due passi in terrazza, la tv, ogni sera la telefonata al cellulare – perché Lidia ha un cellulare – della figlia Sara, che vive a Milano. Della morte parla senza paura. Con sereno fatalismo. Ai familiari ha fatto una sola richiesta: essere cremata e portata a Ferrara. «Donerei anche gli organi se fossero utili a qualcuno, ma ormai a questa età temo che di funzionante ci sia poco». Tre anni fa, a 102 anni, si è rotta il femore. «Ho lasciato di stucco i medici – racconta – pensavano che sarei morta e invece dopo tre giorni e un intervento chirurgico, camminavo di nuovo». Una grinta e una voglia di reagire non comuni. Da allora è uscita di casa una sola volta, per festeggiare il suo compleanno, poi non ha più lasciato il suo appartamento di Palermo. «Sono fragile, o almeno così pensano, temono che possa cadere».
«L’importante è che la testa continui a funzionare», ripete Lidia, che ricorda a memoria compleanni e date importanti. E nonostante l’apparente fragilità – pesa 40 chili appena – ha una tempra invidiabile. Uno dei figli che vive con lei, mesi fa, si è ammalato di Covid. «Erano tutti preoccupatissimi per me – dice – Ma io sono sopravvissuta a due guerre, alla spagnola e pure a questa pandemia».