Corriere della Sera, 26 giugno 2022
Il ritorno alla Guerra fredda
Quando la Russia invase l’Ucraina il 24 febbraio scorso, Mosca era probabilmente convinta che la guerra sarebbe stata breve e che i russi sarebbero entrati a Kiev nel giro di pochi giorni. Commise un errore ed è oggi alle prese con un nodo che non riesce a sciogliere. Se i suoi rappresentanti accetteranno di sedere al tavolo delle trattative, il tema sarà inevitabilmente la sorte di regioni che appartengono ancora oggi alla Repubblica Ucraina; non sarà facile per Mosca pretendere territori che non sono stati conquistati militarmente. Vladimir Putin si era presentato ai suoi connazionali come l’uomo che avrebbe restituito al suo popolo l’autorità e il prestigio di cui godeva quando le sorti del mondo dipendevano da due Paesi (Russia e Stati Uniti). Può uscire di scena senza vantare qualche successo? E potrebbero le grandi democrazie fare concessioni che in questo momento non sarebbero comprese e approvate dai loro elettori?
In una crisi da cui non sembra esistere per il momento una via d’uscita, l’unica soluzione sembra essere quella di continuare a combattere una guerra senza spargimento di sangue inscenando una versione aggiornata di quella che fu definita «fredda» e in cui la retorica non è meno importante della politica. Le democrazie occidentali lo fanno presentandosi come i protettori di un Paese che è stato ingiustamente aggredito mentre Putin ha deciso di scendere in guerra contro un «Occidente corrotto». Aveva già dichiarato, qualche mese fa, che il suo Paese avrebbe «denazificato» l’Ucraina. Ora è andato più lontano dichiarando che in Europa «non c’è nemmeno traccia di personaggi politici del livello di Helmut Kohl, Jacques Chirac o Margaret Thatcher» e «senza offesa per nessuno, è chiaro a tutti che Mario Draghi non è Silvio Berlusconi, e Olaf Scholz non è Angela Merkel». In un discorso al direttivo della Procura generale russa ha anche detto che «l’Occidente sta tentando di spaccare la società russa e distruggere la Russia dall’interno». Ha chiesto la fine delle «provocazioni contro le forze armate russe attraverso l’uso dei media stranieri»; e ha quindi affermato che «è una strana diplomazia quella in cui i diplomatici chiedono all’Ucraina di vincere la guerra sul campo di battaglia». Dmitri Medvedev, vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, è spesso più discreto, ma in questo caso non è stato meno esplicito di Putin e ha usato parole ancora più taglienti : «Li odio. Sono bastardi e degenerati. Vogliono la nostra morte, la morte della Russia. Ma finché sarò vivo farò il possibile perché spariscano».
L’Occidente non ha usato questo linguaggio, ma ha preferito comportarsi come se l’apparizione di Putin sulla scena politica russa giustificasse l’adozione di misure che appartengono al bagaglio politico della Guerra fredda. Abbiamo incoraggiato gli ex satelliti dell’Urss – Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria – a diventare membri di una associazione (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) che era stata creata a Washington il 4 aprile 1949 in uno dei momenti più caldi della Guerra fredda. Credo che ogni Paese abbia il diritto di premunirsi contro possibili nemici, ma il ricorso alla Nato, quando era ancora forse possibile cercare altre soluzioni, è stato un evidente ritorno ai blocchi contrapposti.