la Repubblica, 26 giugno 2022
L’arcivescovo di Milano benedice i campiper far piovere
Come un prete di campagna, in questa campagna asciutta che sembra la Provenza di agosto, avanza l’arcivescovo di Milano. La veste talare che sfiora la polvere, sparge poche gocce di acqua benedetta su un campo che sembra abbandonato da Dio e dagli uomini, e lo è. «Chiediamo il dono della pioggia per i nostri amati campi», e la gente che lo circonda china la testa perché la siccità è una sciagura per la Lombardia, prima regione agricola d’Italia, mai così tribolata. Il mais soffre, le piante crescono male, il raccolto sarà pessimo e gli ultimi temporali hanno fatto poco. «Cosa sarà di noi?», fa uno che si chiama Luigi, agricoltore di 65 anni che non va neanche più nei suoi poderi, «mi fa male vedere le foglie accartocciate, ho sospeso l’irrigazione perché bagnare non serve più a niente, ormai».
La regione è in stato di emergenza, serviranno molti soldi per compensare le perdite economiche, e già gli allevatori accompagnano le vacche al macello perché tenerle vive è antieconomico, e i proprietari di molte tenute agricole rinunciano, semplicemente. Staccano i tubi, l’anno prossimo si vedrà. Poi arriveranno le cavallette, che sono già arrivate in Sardegna, sicuramente compariranno «gli squali, che approfittano dei deboli. In queste tragedie c’è chi diventa più ricco», dice Mario Delpini, un arcivescovo anomalo, che gira per Milano in bicicletta, ieri in trasferta nella Lombardia della bassa, dove una volta c’erano muri di granoturco, oggi sono piante storte, condannate. Con la talare nera abbottonata fino al mento e i sandali ai piedi. Un prete semplice, non fosse che per la fascia viola svolazzante.
È un “pellegrinaggio in tempo di siccità”, tre tappe in pievi da 50 sedie, altro che il Duomo gotico. Si sono recitati molti rosari, Delpini lo ha detto chiaro fin da subito che serviva una preghiera speciale per la situazione di disastro, basta guardarsi in giro, passando tra campi disgraziati che erano rigogliosi, anche solo l’anno scorso. E nel vento caldo che asciuga persino il sudore, può sembrare un rito fuori dal tempo, benedire la terra e pregarci sopra, ma le minuscole chiese che ieri ha visitato erano piene di credenti e non, d’altra parte questa è la diocesi più grande del mondo, 1.110 parrocchie, 6 milioni di abitanti, non si sa quanti fedeli, ma a questo punto ci sono quelli che sperano in qualunque cosa purché piova sul serio, e si salvi qualcosa.
Alle due del pomeriggio si comincia a Trezzano sul Naviglio, che è in secca. Chiesa di Sant’Ambrogio, fuori le cicale strepitano, dentro c’è una qualche freschezza, nelle mura del-Duecento, con resti di Madonne infilzate da sette spade, di sicuro una rappresenta l’arsura. È l’hinterland di Milano, dove il sindaco Sala ha appena chiuso le fontane, invitando icittadini «a ridurre al minimo l’uso di acqua potabile sia di uso domestico che per irrigare prati, giardini privati e pulire terrazzi e cortili».
È emergenza? Sì, infatti i condizionatori dovranno restare stabili sui 26 gradi, e fino a settembre. «Io non posso fare niente, ma possiamo pregare, per quelli che dipendono dall’acqua», dice Delpini, intendendo tutti noi. Suona l’organo, ci sono voci giovani che cantano, e si comincia con il primo mistero gaudioso.
Un’ora dopo si arriva a Mediglia, un paese sconosciuto ai più, circondato dai campi, un tempo famoso per un blitz dei carabinieri in un covo delle Brigate rosse, ma era il 1974. Come allora, sfilate di cascine orain agonia, la Canobbio, la Moncucca e la Marisa, la Canova, enormi possedimenti che hanno sete, e non basta l’acqua che arriva da una rete di fiumi anch’essi in crisi, è una malora che parte dal Monviso e arriva al delta del Po, uguale per tutti.
Alla chiesa di San Martino Olearo c’è un gruppo di ragazzini dell’oratorio in maglietta arancione, aspettano con ansia l’arcivescovo, anzi “don Mario”, così preferisce farsi chiamare. «Viviamo momenti difficili, la pandemia, la guerra, la siccità…», alle sue spalle quattro imponenti reliquiari d’argento, nella piccola chiesa si muore di caldo-umido, il portone è spalancato ma non serve, «e ci stiamo abituando, purtroppo», dice una parrocchiana Elsa, di quelle che la mattina vanno a spazzare il sagrato.
Di chi è la colpa? Delpini non vuole accusare nessuno, però «la terra viene sfruttata in modo esagerato. La natura è a volte nemica, ma dipende dall’uomo». In chiesa, almeno un dirigente della Coldiretti, e molti agricoltori che «tanto, oggi non vado in campagna, a fare che, poi». E nell’ultima tappa, nel minuscolo santuario di Trezzano Rosa, l’arcivescovo farà una domanda che si fanno tutti: «Perché Dio non manda l’acqua di cui abbiamo bisogno?». La risposta è semplice: «Dio non è un mago che risolve i problemi con la bacchetta magica». E lui non si intende «di riscaldamento globale e cambiamento climatico. Ma mi pare che tutti riconoscano che ci sono stili di vita che rendono difficile alla terra dare i suoi frutti». E quindi «bisogna essere più sobri, ed evitare lo spreco». Alle spalle una Madonna sfolgorante d’oro, con in braccio un Bambino in vezzosa veste bianca, davanti un centinaio di persone, per lo più sedute all’aperto, fuori dal santuario dedicato alla Beata Vergine del Rosario, «ti chiediamo il dono della pioggia che irriga e rende feconda la terra, ristora l’uomo e lo disseta». Parte il rosario, e a recitarlo molti credenti e parecchi miscredenti, forse è la volta buona che capiscano tutti una cosa semplice, «la nostra responsabilità per il creato», nessunoè escluso.