la Repubblica, 26 giugno 2022
Intervista a Mario Monti
Balotelli superò per due volte la difesa della Germania e gli Azzurri volarono a Kiev per la finale degli Europei. Nelle stesse ore, l’Italia mise all’angolo la Germania in un drammatico vertice Ue. E quella sonora disfatta di Angela Merkel, dovuta a un’inedita alleanza con Francia e Spagna, fu cruciale per la salvezza dell’Europa. Il Consiglio Ue del 28 giugno 2012 fu un momento “storico”, come ricorda François Hollande nelle sue memorie. E non solo perché varò l’Unione bancaria: le conclusioni del summit cambiarono per sempre gli assetti istituzionali, ponendo le premesse per il “whatever it takes”, la formula del presidente Bce Mario Draghi che ha addomesticato i mercati per un decennio. Ora che l’Italia è di nuovo in preda allo spread e la Bce sta tentando un funambolismo complicato per fermare l’inflazione senza strozzare la ripresa, il protagonista indiscusso di quel Consiglio europeo, Mario Monti, ripercorre quelle ore burrascose.
Allora il senatore a vita era presidente del Consiglio di un’Italia bombardata dai mercati nonostante riforme e aggiustamenti. Quella notte, il governo italiano contribuì a strappare alla Bce la camicia di forza tedesca che la stringeva dagli esordi.
Monti ci spiega perché lo spread di oggi «è fatto in casa» e perché sul Patto di stabilità si profila uno scontro forse ancora più duro tra Nord e Sud Europa, e perché è corretto dire che «la funzione della Bce non può essere quella di chiudere gli spread».
Presidente, del vertice europeo del 2012 si ricorda sempre il varo dell’Unione bancaria. Ma c’è una frase altrettanto importante nelle conclusioni di quel Consiglio. È così?
«Sì, è quella in cui per la prima volta tutti i leader della zona euro – compresa la riluttante Germania e i suoi alleati “falchi” di Olanda e Finlandia – dichiarano di considerare necessario stabilizzare i mercati dei titoli di Stato. Non di tutti, certo. Solo dei Paesi che rispettano le regole. Ma soprattutto: c’è un accenno fondamentale alla Bce che potrà condurre operazioni di mercato efficaci. Non potevamo ovviamente imporre alla Bce di comprare titoli perché ne avremmo violata l’indipendenza. Merkel insistette per aggiungere una condizionalità: che gli Stati a favore dei quali la Bce avesse attivato questo scudo antispread dovessero sottoscrivere un Memorandum. Che avrebbe comportato l’intervento della troika.
Hollande e io volevamo che solo la Commissione intervenisse nel monitoraggio. E sarebbe stato meglio. Nessun Paese, se non ridotto alla disperazione, avrebbe chiesto la protezione dello scudo. Di fatti nessuno è ricorso all’OMT. Finora».
Le conclusioni del 28 giugno furono quindi le premesse del ‘whatever it takes’?
«Certo. Con l’impulso dell’Italia, che intanto stava facendo le politichenecessarie per risanare la propria difficile situazione, l’Europa politica ha ottenuto che né la Germania né altri tenessero la Bce in una camicia di forza che, da sola, non aveva la forza o il coraggio di spezzare».
E perché i mercati non si calmarono subito?
«Non sono i governi che possono intervenire a comprare titoli creando moneta. Con la dichiarazione del 29 giugno l’Ue ha detto alla Bce: se nell’autonomia tu decidessi di fare interventi per calmare gli spread, nessuno di noi ti attaccherebbe.
Quando il presidente Draghi pronunciò a fine luglio il ‘whatever it takes’, i mercati capirono che l’euro sarebbe stato salvato, appunto, a ogni costo. Solo qualche mese prima, quando presentai riservatamente a Draghi il progetto di scudo antispread preparato dal Tesoro e dalla Banca d’Italia, egli ci disse che mai i giuristi della Bundesbank l’avrebbero consentito e ci scoraggiò dall’insistere a livello politico».
Ma perché aumenta lo spread? E l’euro è di nuovo in pericolo?
«Ora come allora l’Italia chiede uno scudo anti-spread. Ma oggi non c’è una crisi sistemica: l’euro non è sotto attacco. Oggi lo spread di ogni Paese è fatto in casa».
Perché? L’Italia ha 200 miliardi del Pnrr che spingeranno la crescita, ed ha avviato le riforme.
«Lo so, è curioso e un po’ paradossale. Se osserva il grafico, è proprio dal passaggio da Conte a Draghi che ha iniziato a risalire lo spread. Penso ci sia un elemento simile ad allora nella prospettiva politica: allora pesava l’incognita delle elezioni del 2013, oggi pesa quella delle elezioni del 2023. D’altra parte è vero che ci sono una valanga di miliardi da spendere.
E ora abbiamo un governo con un presidente del Consiglio autorevole.
Forse, il governo ha assunto un orientamento piuttosto generoso sulla finanza pubblica e di non grande urgenza sulle riforme».
Ora che si parla di un nuovo scudo anti-spread, lei pensa che debba essere come l’Omt?
«Non c’è solo la Bce; in Europa ci prepariamo probabilmente a uno scontro ancora più duro che in passato tra Nord e Sud sul Patto di stabilità. Alcuni Paesi del Sud si illudono, dopo la sospensione del Patto a causa della pandemia, dopo il NGEU e le misure straordinarie della Bce, che l’Europa possa funzionare senza regole o quasi e più spesa pubblica. Ma c’è una questione fondamentale che riguarda la Bce: è il suo compito chiudere gli spread?»
Christine Lagarde rispose di no, nel marzo del 2020, attirandosi enormi critiche e la reazione irritata del presidente Mattarella.
«Non era il momento giusto per dirlo.
Ma, anche secondo me, non è compito della Bce azzerare lo spread di ogni Paese, indipendentemente dalle politiche di quel Paese e dal grado di conformità con le linee generali e per Paese concordate a Bruxelles. In fondo, è la discussione del 2012 che si ripresenta”.
E se gli investitori si stessero innervosendoperchéètornatala Germaniaausterachenoncapiscei mercati?
«Però la Germania non si è opposta ai piani di acquisti di titoli colossali da parte della Bce partiti nel 2015.
Forse dovremmo chiederci come sta evolvendo la cultura economica in Italia. Tanti italiani hanno preso al volo la distinzione tra disavanzo buono e cattivo, correttamente evocata alcune volte da Mario Draghi e stanno trovando – lo sento in Parlamento – sempre nuovi motivi per dilatare l’area della bontà del disavanzo. Tanti altri italiani – mi perdoneranno l’amico presidente Draghi e il collega senatore Salvini per l’accostamento audace – si stanno allineando alla dottrina Salvini secondo la quale è dovere della Bce finanziare con moneta i disavanzi.
Ecco, forse i mercati seguono il dibattito economico italiano e si chiedono: quando mai si ripeterà una condizione favorevole come oggi? Con Draghi capo del governo, una valanga di soldi dall’Europa, un Qe che fino ad oggi è stato a pieno regime e il Patto di stabilità sospeso? Se l’Italia non riesce a fare progressi definitivi oggi, quando mai ci riuscirà?»