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 2022  giugno 26 Domenica calendario

Marco Tullio Giordana, tra Pasolini e Dio

Nel segno di Pier Paolo Pasolini succede che, l’altra sera, al Parco della Cervelletta di Roma, il regista Marco Tullio Giordana presenti insieme a Don Luigi Ciotti Il Vangelo secondo Matteo, girato dal regista poeta e scrittore nel 1964, candidato a tre premi Oscar, premiato alla Mostra di Venezia. «Ho accettato – dice Giordana – per l’amore che nutro verso Pasolini da quando ero suo contemporaneo, perchè mi è piaciuta l’idea di parlare di questo film, di questo mito romantico, a ragazzi nati molti anni dopo, e poi per l’amicizia che mi lega a Don Ciotti». Una vera affinità elettiva: «Ci conosciamo da qualche anno, da quando Don Ciotti ha celebrato a Milano il funerale di Lea Garofalo, fu molto commovente, siamo diventati amici. Ogni volta che interviene su qualcosa sono d’accordo con lui, ha sempre evitato la rendita di posizione dell’essere eroe, vive come un asceta. Purtroppo non sono credente, ma, conoscendo persone come lui, verrebbe voglia di esserlo». Nel film, dice Giordana, c’è forte la tensione verso una spiritualità che appartiene molto ai anche ai nostri giorni: «Tutto quello che ci circonda è talmente deludente e deprimente da indurre alla ricerca di qualcos’altro, in altre terre, in altre situazioni. Il cristianesimo contiene aspetti rivoluzionari e io, da laico, vedo la religione come un grande romanzo che racconta il mondo».
Tra le pagine di questo racconto, Don Ciotti sceglie di mettere in luce quelle piene di contraddizioni, dissonanze, legate proprio al percorso pasoliniano di onore e di martirio: «Non possiamo dimenticare che il film fu premiato a Venezia tra gli sputi dei fascisti, rivolti a lui e alla giuria che aveva riconosciuto il valore dell’opera. Allora, nel ’64, Pasolini fu attaccato dalla critica cattolica, da chi pensava che un ateo come lui non potesse invadere un campo non suo, ma anche dal Pci che lo accusò di misticismo. Poi, nel 2014, è successo che L’Osservatore romano abbia definito capolavoro Il Vangelo secondo Matteo, «probabilmente il miglior film su Gesù mai girato nella storia del cinema». Secondo Don Ciotti, che si definisce «incompetente, laureato in scienze confuse», Pasolini «aveva uno sguardo profetico, alcuni passaggi del film definiscono quello che avverrà dopo, la condizione degli ultimi. Le parole del Vangelo sono provocazioni, devono saldare la terra con il cielo, il trascendente con l’immanente, Cristo e i poveri Cristi, Pasolini lo aveva capito». Giordana ricorda di aver visto il film per la prima volta a 13 anni, colpito dalle discussioni che aveva ascoltato in casa e dalla scelta, la stessa sottolineata da Don Ciotti, per cui Pasolini avesse affrontato proprio quella materia all’indomani della condanna per vilipendio alla religione per La ricotta: «Il dibattito – ricorda – era centrato su un punto: “può un marxista raccontare la religione cattolica?”. E dire che Pasolini aveva dedicato il film all’affettuosa figura di Giovanni XXIII, quel titolo di testa rappresentava già uno scandalo. Era un momento storico di speranza, di entusiasmo, di economia che faceva sognare tutti di raggiungere il benessere e quindi di riuscire a essere più generosi e più ricettivi». Momento molto diverso da quello che stiamo vivendo oggi: «Il Covid ci ha lasciato grande diffidenza, la paura di trovarci in occasioni pubbliche e, negli irresponsabili, una rimonta del chissenefrega. Non so se è cambiato qualcosa, in estate si leggono sui giornali le cose più tremende, i delitti, la follia che imperversa, ti viene da pensare che forse siamo tutti impazziti, forse si è affermato un atteggiamento del tipo “muoia Sansone e tutti i filistei”, una specie di pazzia che ha preso il mondo intero, una sorta di fatalismo edonista». Eppure, in quest’atmosfera sbandata e ubriaca, Marco Tullio Giordana che, da 15 anni, ha bandito la tv dalle mura domestiche, e che, per la tv, aveva firmato una ricostruzione cruciale della storia italiana come La meglio gioventù, non cede a nessun tipo di rimpianto compiaciuto. Anzi: «Siamo stati ragazzi quando è arrivato il ’68 a liberare i costumi, a farci pensare che tutto poteva migliorare, abbiamo avuto un grande privilegio, ma l’abbiamo usato molto male. Non stimo la mia generazione, per l’ignoranza che ha dimostrato, per aver pensato di cavarsela a buon mercato e, quindi, per non essere stata in grado di produrre bravi uomini politici. Era una generazione promettente e invece i padri sono stati migliori, loro la voglia di ricostruire l’hanno avuta davvero, noi, invece, l’abbiamo sperperata. Di me non sono per nulla soddisfatto, quando ho letto l’autobiografia di Bergman, mi ha colpito il modo in cui si disprezza totalmente, mi sono detto che se uno come lui non era contento di sé, come potrei esserlo io?».
Allora i rifugi che restano sono pochi. Da una parte il teatro «perché c’è bisogno di ascoltare parole alte, diverse dal chiacchiericcio in cui siamo immersi e che, certe volte, il cinema ripropone». Dall’altra, appunto, Pasolini, a cui Giordana dedica il suo spettacolo Pa (realizzato con il Teatro Stabile del Veneto) protagonista Luigi Lo Cascio che aveva diretto ne I Cento passi: «Nell’anno del centenario facciamo insieme questo lavoro su Pasolini, ci sono le sue parole, lui che si racconta attraverso le poesie, non abbiamo aggiunto nemmeno una virgola, cerchiamo insieme una drammaturgia. Ho pensato che la cosa migliore fosse far parlare lui direttamente». Dai suoi scritti, dalla sua esistenza, gli insegnamenti emergono chiari: «Soprattutto – dice Giordana – l’idea di essere sempre pronti a modificare, correggere le proprie idee, vederne i limiti, restare iper-critici. Questo costa molta incertezza, ma è anche un processo avventuroso, che va affrontato al momento giusto, da ragazzi». —