Il Messaggero, 26 giugno 2022
È la grammatica, bellezza
Ecco un saggio double face, in grado di suscitare la meraviglia di alcuni lettori o il fastidio di altri. I primi rimarranno estasiati dallo scoprire le leggi segrete e silenziose, invisibili e impalpabili e però stringenti che regolano la grammatica di tante lingue, diverse tra loro per origini e natura. E infatti non è solo l’italiano ad essere oggetto dell’attenzione del professor Simone, professore emerito di linguistica all’Università romana di Tor Vergata, ma anche il cinese, il turco, persino il creolo, e non parliamo del greco antico, del latino, del norvegese citati sempre con estrema chiarezza e assoluta pertinenza in fatto di casistica, e morfologia.
LA PASSIONE
Dunque meraviglia per quei lettori consapevoli, i quali, al di là della passione per la Settimana enigmistica e della curiosità per le brillanti trovate dei grammatici rubrichisti della domenica, si interrogano sul mistero del linguaggio, in cui Alexander von Humboldt vedeva «il lavoro che la mente ripete eternamente per far sì che il suono articolato riesca a esprimere il pensiero», e sul reticolo cognitivo della lingua questo prodigioso strumento, questa cassetta degli attrezzi portentosa che distingue l’uomo dall’animale, e sembra soggetto a usi e regole astruse, arcane eppure limpidissime, e sempre dotate di una loro logica stringente, anche se rispondono a casistiche infernali.
E qui veniamo al fastidio, verso le prescrizioni e i vincoli, che assale i lettore ignaro della grammatica, il quale usa quotidianamente pur non senza incertezze. Per esempio, come si dice: una folla di amici è venuta, o una folla di amici sono venuti? E ancora: Pensavo che saresti partito con me, o Pensavo che partissi con me. Noi che ogni giorno parliamo e scriviamo in italiano, dialetto e lingua informale permettendo, forse ignoriamo che il nostro sistema del verbo ha ben sette modi (indicativo, congiuntivo, condizionale, participio, infinito, gerundio, imperativo) e che i tempi del verbo sono addirittura il doppio (presente, passato prossimo, imperfetto, trapassato prossimo, passato remoto, trapassato remoto, futuro, futuro anteriore, per il solo indicativo, presente, passato prossimo, imperfetto, trapassato prossimo per il congiuntivo, e presente e passato per tutti gli altri modi, tranne l’imperativo che com’è ovvio regge solo il presente); che contando le varie forme finite e non finite, oltreché le diverse persone singolari e plurali, si arriva a un totale di 92 forme, senza considerare quelle delle verbi irregolari?
L’ASTRAZIONE
Da uscire pazzi insomma. Si spiega dunque il fastidio di quei lettori pragmatici, e meno inclini all’astrazione e alla poesia della lingua, i quali, lungi dal commuoversi di fronte alle rivelazioni e alle disquisizioni comparative intorno a una forma verbale come il futuro, o a una parola sintagmatica (niente paura, è solo una combinazione di parole legate da coesione stretta, tipo schiaffo morale o messa in moto), mal sopportano la spiegazione di formule che usano abitualmente senza nemmeno pensarci. Allora, per godere a pieno di questo saggio sulla grammatica, con i suoi esempi, i suoi trabocchetti e le sue asimmetrie, illustrati nei più diversi idiomi, bisogna temperare l’entusiasmo e allenare la pazienza. Solo così meraviglia diventa conoscenza e il fastidio si trasforma in piacere.
Raffaele Simone ha infatti il merito di sgombrare il campo dell’equivoco, quando dimostra che la grammatica, lungi dall’essere un’indigesta congerie di prescrizioni, non è che il punto di arrivo dell’evoluzione umana, l’estrema risorsa dell’Homo sapiens per poter esprimere precisamente quello che ha in mente. E da umanista e da filosofo del linguaggio, riesce a combinare la linguistica con le scienze cognitive, l’informatica con la biolinguistica, la retorica e la lessicografia in una trattazione irresistibile, dove Leopardi insegue Herder, la Szymborska perde colpi, Roman Jacobson dialoga con Saussure e sopra tutti rifulge il genio incontrastato di Giovanbattista Vico.