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 2022  giugno 26 Domenica calendario

La proprietà intellettuale e il caso del Peppa Pig russo

C’è un fronte poco esplorato su cui la Russia sta combattendo la lotta alle sanzioni che l’Occidente gli ha imposto dopo l’invasione dell’Ucraina: quello della proprietà intellettuale. Mosca, in breve, ha legittimato le società russe ad utilizzare marchi e brevetti riconducibili a 48 Paesi ’non amici’ del Cremlino – tra cui Usa, Uk, Ue e Giappone – senza chiederne l’autorizzazione. Contromossa di non poco conto che sta danneggiando numerose aziende e causando qualche grattacapo ai piani alti della Wto. È bastato un decreto di modifica al codice civile russo, emesso agli inizi di marzo, per legittimare, per esempio, la messa in onda di un ’falso’ Peppa Pig, il cartone animato nato negli studi londinesi di Astley Baker Davies di cui la multinazionale Entertainment One detiene i diritti. A nulla è valso il contenzioso legale tentato nei confronti del competitor russo che ha riprodotto e diffuso, senza licenza, una versione identica all’originale della nota serie per bambini. Il decreto russo numero 299 chiarisce che l’aggiustamento delle norme sulla proprietà intellettuale è giustificato dall’emergenza legata a «interessi di difesa nazionale» e alla «tutela della vita e della salute dei cittadini».
Ratio, osservano i tecnici, difficile da contestare a livello internazionale perché il diritto commerciale in vigore in ambito Wto contempla delle eccezioni alle restrizioni su marchi e brevetti dettate proprio dal fattore sicurezza. Il caso di Peppa Pig è stato uno dei primi contenziosi del genere. Si teme che altri possano arrivare a valanga in ogni ambito dell’industria. Il Cremlino ha pubblicato lo scorso 6 maggio la lista aggiornata, in 25 pagine, dei prodotti che possono circolare in Russia senza marchio registrato: per esempio, i cellulari Apple, le console Nintendo e le componenti meccaniche Tesla.
L’ipotesi di risolvere le controversie in sede Wto, di cui la Russia fa parte dal 2012, non è facilmente percorribile. Enrico Bonadio, docente di diritto alla City University di Londra, spiega in un articolo pubblicato da ’The Conversation’ che la questione trova impreparati gli stessi giudici di Ginevra che, prima di oggi, non si sono mai trovati a dirimere controversie sulla proprietà intellettuale «nel contesto di un conflitto armato».
Uno dei pochi precedenti risale alla Prima Guerra mondiale quando, era il 1917, negli Stati Uniti fu varata una legge federale, il Trade with Enemy Act, che confiscava i brevetti detenuti dai Paesi nemici di Washington come quelli tedeschi sull’aspirina. Alla fine del Grande Guerra, ricorda Bonadio, la proprietà del noto farmaco antinfiammatorio, «fu ceduta dalla società farmaceutica Bayer a Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Russia, come parte dei risarcimenti che la Germania concordò nel Trattato di Versailles». Quali sono, ci si chiede, gli effetti dell’uso bellico del furto di proprietà intellettuale? Gli esperti sottolineano che il rischio immediato è una riduzione del valore della tecnologia e dei marchi copiati che in questo contesto posso anche essere rivenduti.