La Stampa, 24 giugno 2022
Aids, a che punto siamo
Quella dell’Hiv è un’epidemia ancora in atto. Negli ultimi anni le nuove diagnosi sono in lieve calo, ma guai ad abbassare la guardia». Così Franco Maggiolo, responsabile dell’Unità semplice di Patologie Hiv-correlate e terapie sperimentali dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Ed è proprio a Bergamo – in occasione del congresso Icar (Italian Conference on Aids and Antiviral Research) – che si è fotografato lo stato attuale dell’infezione.
Professore, a che punto siamo?
«Da un punto di vista epidemiologico – ovvero in relazione alla circolazione attuale del virus dell’Hiv in Italia e a quali siano le persone più a rischio – non abbiamo fatto passi da gigante, soprattutto perché – a mio parere – nei confronti di questo virus l’attenzione si è abbassata. E di molto. Uno studio, di cui si è discusso al Congresso Icar, ha analizzato quanto oggi i media danno spazio all’Hiv: nell’arco di un decennio si è passati da 400 articoli annui a meno di 60. Tanto è vero che quando andiamo nelle scuole o all’università ci accorgiamo che i giovani ne sanno poco o nulla di Hiv».
Il problema vero è dunque il calo di informazione?
«Se non se ne parla, cala l’attenzione. Meno persone fanno i test che sono fondamentali per riconoscere precocemente l’infezione. La terapia è la miglior arma per controllarne la trasmissione. Purtroppo i giovani oggi sono meno consapevoli e quindi si proteggono di meno anche perché proprio le terapie attuali che hanno permesso di cronicizzare l’infezione, hanno modificato la sensibilità nei confronti del rischio oltre a ridurre l’impatto mediatico».
Quindi a oggi la terapia è l’arma migliore per combattere l’Hiv...
«Una persona in terapia non trasmette l’infezione, nemmeno con rapporti sessuali non protetti. Questo concetto in inglese viene definito con un’equazione U=U, Undetectable = Untransmittable. In pratica si riduce la quantità di virus nell’organismo tanto da renderlo non solo non più rilevabile, ma anche non trasmissibile. Se tutti facessero il test e seguissero la terapia antiretrovirale si potrebbe davvero intervenire in modo significativo sull’andamento dell’infezione...»
Una curva comunque in discesa...
«Negli ultimi anni una leggera flessione c’è stata ma il problema non è risolto e permangono infezioni in tutte le fasce della popolazione. In aggiunta circa un terzo delle diagnosi avviene alcuni anni dopo l’infezione. Per questo è importantissimo diffondere la cultura del test e favorire l’approccio al test in contesti diversi. Tutti i Centri Hiv riportano tassi di soppressione completa del virus superiore del 95%: questo significa che con le nuove terapie, ben tollerate, semplici da prendere e con pochi effetti collaterali, l’infezione si controlla bene. Più è precoce la terapia ovviamente meglio è. Ma oggi è possibile anche recuperare situazioni compromesse».
Esiste ancora il sommerso? «Sì, permane una quota importante di persone portatrici del virus che non sanno di averlo e che, a loro insaputa, favoriscono la diffusione del virus. Probabilmente la percentuale si attesta intorno al 15-20 %, ma sono stime. Queste persone oltre ad ignorare di essere infette non hanno neppure la percezione del rischio; e qui si ritorna al tema dell’informazione, dell’importanza di educare le nuove generazioni: è la conoscenza, la cultura che permettono di combattere la diffusione del virus e il pregiudizio».
Come contrastare questi pregiudizi che ancora esistono nei confronti di chi ha contratto l’Hiv?
«Il pregiudizio è un problema enorme e socialmente non accettabile, con gravi conseguenze verso chi ha contratto l’infezione. Molti infatti tendono a nascondersi con conseguenze anche psicologiche. Una delle armi principali per sconfiggere il pregiudizio è far conoscere il messaggio U=U, un grimaldello per far saltare la più grossa ragione dello stigma: ovvero “se non mi infetti non c’è regione neanche di allontanarti"».
Quali sono gli ostacoli da superare per sconfiggere definitivamente l’Hiv?
«La totale eradicazione del virus al momento non è possibile. Forse un giorno ci riusciremo, però questo virus è perfido, si integra nelle cellule, può essere dormiente per anni e risvegliarsi in qualsiasi momento. Quando dorme non è aggredibile con i farmaci attuali. Bisogna risvegliarlo per poi colpirlo e ucciderlo…».
Un vaccino preventivo?
«Questo è un altro passo...ma il virus si modifica continuamente. Al suo confronto il Covid è un dilettante, ha infatti una capacità di variazione 100 volte inferiore all’Hiv. Come se non bastasse all’interno della stessa persona possono albergare più virus diversi, in contemporanea, e questo può avere conseguenze sulle terapie. Chi diventa sieropositivo rimane tale per tutta la vita, può curarsi e non avere conseguenze cliniche, ovvero l’Aids, ma non può eliminare il virus. Almeno per il momento».