Corriere della Sera, 21 giugno 2022
Silvio Orlando ha vinto il Nastro d’argento
«Quando li vinco, con cadenza decennale, li vinco in serie, successe così anche la prima volta con Il Caimano: Nastro, David, e Ciak d’oro. Il triplete». La butta sullo scherzo Silvio Orlando, premiato ieri sera al Maxxi con il Nastro d’argento come miglior attore 2022 per Ariaferma e Il bambino nascosto, ex aequo con Pierfrancesco Favino per Nostalgia di Martone. «Ho iniziato come comico, nel cabaret, frutto del lavoro fatto dalla mia generazione che già in teatro portò uno spessore diverso alla comicità. Dopo Il caimano mi sono dedicato tanto al palcoscenico. Nel nostro lavoro vai dove ti portano istinto e cuore, oltre ai tratti fisici, e pian piano capisci meglio quello che vuoi. Sono felice che arrivino risultati anche in questa fase più legata al dramma».
Un cattivo che ha lasciato il segno il suo Carmine Lagioia di Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, il freddo antagonista dell’ispettore Gargiulo di Toni Servillo. «Appena appare in scena deve comunicare un carisma negativo, un senso di minaccia, un’inquietudine. Per una lunga fase della vita come attore ho lavorato sul contrario: essere rassicurante, cercare empatia con il pubblico. Questo è un punto di arrivo che mi fa felice». Buffo che sia stata la prima volta insieme per Orlando e Servillo, primo derby Napoli-Caserta. «Non ce l’hanno mai chiesto prima. L’idea è venuta a Leonardo. Tra noi c’è immensa stima, abbiamo un percorso parallelo dal teatro sperimentale al cinema». Anche con Andò per Il bambino nascosto il trait d’union è stato il teatro. «Un bellissimo regalo, un’atmosfera alla Simenon ricreata nel quartiere Sanità. Il professore di musica è uno di quei personaggi che guardano le vite degli altri sperando di non esserne toccati».
Il debutto al cinema arriva nel 1987 con Kamikazen di Salvatores all’epoca dell’Elfo («Gabriele è stato un angelo custode, gli anni a Milano sono stati difficili»), seguito da Palombella rossa di Moretti, e altri incontri fertili: Luchetti, Mazzacurati, Virzì, Avati, Capuano, fino al Sorrentino di The Young Pope. «Ho grande rispetto dei ruoli. Spero sempre che regista abbia le idee molto chiare. Noi attori siamo pensanti anche se non lo esprimiamo. Io cerco di sciogliermi dentro il racconto senza essere ingombrante». Ha appena concluso le riprese de Il sol dell’avvenire, di nuovo con Moretti dopo 16 anni. «Nanni è in un momento molto felice della sua vita artistica. Con lui ho sempre sentito la gioia creativa, ma i set erano luoghi un po’ tormentati. Questa volta ho avuto la piacevolissima sorpresa di trovarlo del tutto sereno. Il tema del circo ha portato qualcosa di folle». Come gli elefanti in via dei Fori Imperiali. Con Orlando alla guida. «Erano molto docili. Solo un po’ di scossoni. Avevamo intorno diversi domatori, abbiamo unito le due grandi famiglie del circo italiano, c’era un Orfei e un Togni. E il giorno dopo peggio: ha liberato dei leoni al Ghetto, non ha posto limiti alla fantasia».
Virzì in Siccità gli ha affidato un altro ruolo da carcerato. «Un tipo senza cervello, quasi decerebrato, se lo sono dimenticato in carcere non si sa neanche se abbia scontato la pena, poi si trova fuori, in questa Roma senza acqua con il Tevere in secca, molto attuale, e sfrutta la situazione».
Dopo l’estate riprenderà la stagione de La vita davanti a sé di Romain Gary, spettacolo molto amato dal pubblico. «Il teatro è il mio orto. Il cinema a volte è un po’ capriccioso. Avere un luogo dove coltivare il tuo mondo artistico, dove trovi la tua zucchina, la tua patata, aiuta. È la mia decrescita felice, diciamo così».