Corriere della Sera, 21 giugno 2022
Intervista alla star della lirica Elina Garanca
Elina Garanca è con Anna Netrebko la star dell’Arena di Verona: ma Elina lo è di più, perché si tratta del suo debutto assoluto.
Carmen, con la ripresa della regia di Franco Zeffirelli e la direzione di Marco Armiliato, ha aperto il festival in una versione che è un insieme dei suoi due allestimenti areniani, del 1995 e del 2009, più il tendaggio inedito del bozzetto originale che incornicia la scena. Per ascoltare il mezzosoprano lettone nel titolo di Bizet bisogna aspettare le recite dell’11 e 14 agosto.
Metterà in scena la parrucca nera?
«Non lo so ancora. In passato per questo ruolo alla Scala nel 2015 ho tenuto i miei capelli biondi, altre volte ho optato per la parrucca scura. Dopo tanti anni, ancora si fa fatica ad accettare l’aspetto visuale… La moglie di un amico di un mio amico vive nel Nord della Spagna, è rom ed è più bionda e con gli occhi più azzurri dei miei. Sono cliché. Capisco i registi ma anche loro devono capire i cantanti. Siamo noi che andiamo in scena e io non sono una marionetta, ho le mie idee. A me Carmen bionda piace».
Ognuno ha una sua idea di Carmen…
«Bugiarda, infedele, ribelle, indipendente, sensuale… Oggi gli equivoci su Carmen sono aumentati con il Me Too. Il fenomeno dei femminicidi non esiste solo in Italia, esiste nei Paesi musulmani, in Russia, nella mia Lettonia e in tanti altri Paesi. Certo non ci penso in scena, perché avrei già una idea. Dobbiamo mettere da parte i cliché, pensare che anche le donne possono essere cattive. Bizet aveva composto la prima versione dell’aria dell’Habanera, che poi ritirò, con un carattere differente della protagonista, più giocoso, e infatti nella musica, nei recitativi, nei dialoghi questa idea resiste».
Allora?
«Allora la mia Carmen avrà momenti giocosi, si può avere compassione per lei e provare sentimenti diversi, sarà una miscellanea di tutte le Carmen che ho fatto. Sarà una donna imprevedibile».
Cosa invidia un mezzosoprano a un soprano?
«Il numero di arie che loro hanno e noi no. Amneris nell’Aida non ne ha nemmeno una in quattro ore di musica».
In Russia canterà?
«Oggi è impossibile e non potrò fino a quando ci sarà l’attuale regime. Gli artisti hanno paura. Se parli liberamente passi dei guai seri, possono ucciderti».
Nel 2014, in un’intervista al «Corriere» fu profetica.
«Sì, parlavamo della crisi tra Russia e Ucraina, ero preoccupata, era appena cominciata la controversia in Donbass. Ora si dice che la prossima mossa di Putin saranno i Paesi baltici, dunque anche la mia Lettonia».
Cosa pensa del boicottaggio degli artisti russi?
«Dico che non è giusto boicottare chi, tra loro, condanna l’aggressione in Ucraina. Poi ognuno vive con la propria morale, e con la propria coscienza. Io sono un’artista che vive grazie agli inviti che mi arrivano. Ma ho le mie idee e le espongo. Sono contro la guerra e contro chi supporta il regime russo».
Tornerà in Italia?
«Sì, alla Scala per l’apertura di stagione del 2023, e al San Carlo di Napoli: stessa opera, Don Carlo di Verdi».
Da ragazza voleva diventare attrice, non cantante.
«Ho rifiutato diversi ruoli pensati per i film sulle dive. Il divismo in scena esiste ancora. È un concetto che lego alle divinità. Io brucio tutto sul palcoscenico. Quando scendo da lì, sono una madre normalissima di due bambine di dieci e otto anni, che vive tra la Lettonia e la Spagna, e che non porta tacchi alti. Sui film, ne girerei uno su Lady Diana. È la donna a cui mi hanno fisicamente paragonato per non so quanto tempo. Ha portato con sé, accanto alla dolcezza, i suoi misteri, la sua aura inavvicinabile. È l’incarnazione del rimpianto, della maledizione sulla sua famiglia, come era successo a Jackie Kennedy».