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 2022  giugno 21 Martedì calendario

La burocrazia ferma ancora il merito nella scuola

«Resta ferma la progressione salariale di anzianità». Centosessantatré anni dopo la prima sanatoria decisa nel 1859 da Vittorio Emanuele II prima ancora che fosse sancita l’Unità, il pilastro buro-sindacale nella scuola, sacro e intoccabile come il Dente di Budda in Sri Lanka, è rimasto tale e quale anche con Mario Draghi. Ma come, direte, l’ex banchiere centrale non è da decenni un portabandiera del merito? Lo era anche Mariastella Gelmini, a leggere 37 volte la parola «merito» in una proposta di legge prima (prima) che diventasse ministro. Eppure...
Eppure anche il decreto-legge 36/2022 in questi giorni in discussione al Senato per la conversione definitiva contiene ancora (articolo 44, comma 4) quelle sette parole. Nonostante lo stesso Pnrr, ricorda un dossier assai critico di Tuttoscuola, «preveda tra i traguardi in scadenza il 30 giugno 2022 l’entrata in vigore della riforma della carriera degli insegnanti». Una parola, carriera, negli «ultimi vent’anni scomparsa dagli impegni ministeriali e contrattuali» dopo «l’insuccesso della proposta del ministro Luigi Berlinguer, inizialmente condivisa dal sindacato ma successivamente osteggiata da un’ampia parte della categoria» ed evaporata in estenuanti battaglie contrattuali fino a perdersi «negli archivi delle buone intenzioni». In Parlamento, accusa la rivista di Giovanni Vinciguerra, ci sarebbe ancora «l’occasione unica per riprendere quella riforma mancata, coinvolgendo, per la parte di sua competenza, il sindacato». Macché...
Prova ne sia che «nel paragrafo 3.2 dell’Atto di indirizzo, dedicato alla Formazione, si afferma che “Il contratto, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato (...) valorizzando l’impegno ulteriore previsto per tutto il personale e fermo restando il principio della remunerazione delle attività di formazione, potrà altresì prevedere le modalità attraverso le quali l’impegno in attività di formazione in servizio certificate, valutate e coerenti con l’attività svolta, potranno collegarsi al riconoscimento delle competenze maturate nell’ambito degli sviluppi di valorizzazione professionale...».
Fateci capire: esiste un modo per premiare i più bravi di questa o quella categoria, alle primarie o alle superiori, senza dare loro un becco di quattrino perché lo Stato ha deciso a priori di non spenderne uno in più e risparmiare anzi sugli stipendi dei docenti che sono già, dice l’ultimo rapporto di Eurydice Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe 2019/20, tra i meno pagati dei 38 sistemi educativi europei e nettamente più poveri rispetto ai colleghi di Belgio, Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Austria, Finlandia, Svezia, Islanda e Norvegia? Per non dire degli stipendi deluxe superiori a 50 mila euro in Danimarca, Germania, Lussemburgo, Svizzera e Liechtenstein?
Eppure, anche nell’ultimo emendamento, firmato dal presidente della 7ª Commissione permanente Istruzione pubblica e beni culturali Riccardo Nencini, che potrebbe ancora fare dei ritocchi essenziali, la frase chiavistello è lì inchiodata: «Resta ferma la progressione salariale di anzianità». Domanda: perché mai un giovane brillante, innamorato della scuola, disposto a fare sacrifici che altri non farebbero, dovrebbe sentirsi attratto da un ambiente del tutto disinteressato ad assumere chi di più studia, chi di più si aggiorna, chi di più approfondisce le lingue straniere se a quello Stato, a quell’ambiente, a quella scuola interessano troppi singoli anonimi individui che potrebbero non dare mai neanche una briciola in più di quanto viene loro chiesto? È questo il modo d’attirare talenti potenzialmente indispensabili spezzando finalmente quell’«egualitarismo assoluto che mette sullo stesso piano 800.000 professionisti» come fossero 800.000 robot azionati a manovella?
Peggio, accusano i più critici contro la «riforma» ancora in discussione: ci sono addirittura passi indietro rispetto ai passi avanti fatti dallo stesso sindacato nel passato. E prendono ad esempio il «Contratto collettivo nazionale di lavoro per il quadriennio normativo 20022005» o la «legge 107/2015» (la Buona Scuola di Matteo Renzi) per affermare come ora non ci sia più manco la «formazione obbligatoria» (essenziale in un mondo in cui sono troppi i maestri e i professori finiti in cattedra senza aver mai superato una selezione), sostituita da una formazione «incentivata»: «Al fine di incrementare l’accesso ai predetti percorsi formativi è previsto un incentivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale al superamento del percorso formativo». Cioè? Boh... Ricordate le contestatissime leggine proposte o addirittura varate per premiare certi settori pubblici in cui chi si presentava al lavoro (come non fosse ovvio) doveva venire premiato o certi postini già pagati per consegnare la posta dovevano ricevere un plus per ogni lettera consegnata? Ecco, una cosa simile. Ma si fa carriera solo con l’anzianità o anche con qualche premio strappato per merito? Boh...
Risultato: questa riforma vera, aperta, concreta, europea invocata da anni rischia di passare ancora una volta monca sul fronte vitale, quello del merito. E resteremo tutti appesi alla solita litania: ah, se i più bravi... Chissà come ci resterà il ministro Patrizio Bianchi che nel suo libro Nello specchio della scuola, due anni fa, sancì: «Investire sui docenti vuol dire anche predisporre carriere che permettano loro di investire su se stessi, liberi da condizioni di precariato che difficilmente consentono una crescita professionale».