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 2022  giugno 21 Martedì calendario

Parla la moglie di Antonio La Forgia

«Mi chiamava Cocca. Uno degli ultimi giorni mi ha detto “Cocca facciamo così: se ti dico Goethe vuol dire che sto vivendo un momento di felicità”. C’è stata una sera in cui mi ha detto più volte Goethe... Gli tornavano i conti della vita. Quello che aveva sbagliato, capito, dissipato. Aveva riparato tutto e si era perdonato; si sentiva libero. Goethe nel Faust implora: “Fermati attimo, sei bello”, ci ha provato anche lui. Mi ha detto: “Non avrei mai pensato che mi sarebbero bastati degli attimi, che sarebbe bastato guardarti per sentirmi felice”».
Ma è arrivato il giorno senza istanti di felicità...
«È stato domenica 5 giugno. Aveva urlato di dolore tutta la notte. La mattina gli ho chiesto: non ci sono più momenti Goethe, vero? E lui ha annuito. Era la fine. Aveva già scelto di andarsene con la sedazione profonda. Il quando lo ha deciso quella sera stessa. Mi ha detto: “Devi amarmi molto per accettare che me ne andrò e a te rimarrà in casa per giorni il mio corpo vivo”».
Poche ore dopo su facebook lei ha scritto del suo «viaggio di sola andata».
«Il lunedì mattina alla dottoressa che lo seguiva ha detto: “Stasera mi faccia dormire”. Abbiamo stabilito che la sera avrebbe preso la morfina da sé, per cominciare a dormire, e il giorno dopo lei gli avrebbe somministrato il farmaco per la sedazione profonda. Sono arrivati i suoi figli, gli amici storici. Tutti attorno al letto a salutarlo. Gli ultimi minuti sono stati per noi due soli...».
Maria Chiara Risoldi racconta di suo marito, Antonio La Forgia, ex governatore dell’Emilia-Romagna, ex deputato. Un racconto pieno di pause, sospiri, di dettagli che aspettano di essere convocati all’adunata dei ricordi. Racconta della sua presenza che è ovunque, della sua voce rimasta nell’aria, dei loro 33 anni assieme. Scienziato (un fisico) prestato alla politica lui; saggista, psicologa e psicoterapeuta lei.
Quando stava bene, avevate mai parlato di fine vita?
«Sì. Mio fratello è morto nel 2019 di un tumore. Gli ultimi mesi era ridotto in uno stato pietoso. Antonio ripeteva: “Io così non ci vorrei mai arrivare”. Anche la sua ex compagna e madre di sua figlia morì di tumore fra molte sofferenze. Ne abbiamo parlato anche quando ci sono stati i casi Welby, Englaro, dj Fabo... Non era molto convinto dell’uso politico dei casi singoli. Lui diceva sempre che “questa è materia della coscienza, che non può decidere lo Stato al posto delle persone”».
Finché un giorno è arrivata la sua diagnosi: due tumori, uno dei quali molto aggressivo e con metastasi.
«Mi ha chiesto subito di cercare un medico che potesse eventualmente addormentarlo. Ma a dicembre 2021 avevamo brindato, perché sembrava che fosse in remissione. Non era così. Le metastasi e il dolore hanno riconquistato il campo. Negli ultimi giorni urlava dalla sofferenza per ogni piccolo movimento».
Quali sono state le sue ultime parole?
«Mentre si stava addormentando mi ha detto: “Quando sarà il momento ti verrò a prendere”».
E lei ha detto: «Lassù non sedurre troppe signore».
«In realtà su Facebook ho raccontato una bugia... Non ho mai risposto con quelle parole. Ho pianto insieme a lui, invece. L’ho sentito addormentarsi fra le mie braccia».
Lui credeva in Dio?
«Era uno scienziato. La dimensione spirituale non gli apparteneva».
Si è addormentato lunedì sera, è morto venerdì.
«Sì. Il mercoledì un’amica è uscita dalla stanza dicendo: “Si è svegliato! Mi ha risposto!”. Siamo corsi tutti da lui. Gli ho chiesto: Antonio senti male? Mi ha risposto “no”. Poi muoveva la mano e allora gli ho chiesto: stai cercando una sigaretta? Ha fatto sì con la testa. Gli ho detto piangendo: Antonio, cambiamo idea. Per me quel momento è stato pazzesco... La dottoressa ci ha poi detto: lui ha una gran voglia di vivere, non lo stimolate troppo perché sennò non riesce ad andarsene... Non sono più entrata nella stanza. Avevo paura di toccarlo, svegliarlo».
Quando è tornata da lui?
«Quando è morto. L’ho abbracciato per due ore senza più paura di svegliarlo».
Lei dice che siamo un Paese ipocrita sul fine vita.
«Lo penso. Penso che la sedazione profonda sia un suicidio assistito che però salva la faccia del nostro essere un Paese cattolico, perché è lì il nodo. Il dolore è materia da trattare in modo cattolico: è espiazione, va accettato con rassegnazione...”».
Lei farebbe ricorso alla sedazione profonda o al suicidio assistito per se stessa?
«Penso che mi capiterà. Ho il parkinson, e peggiora. Mi sono iscritta a una società per il suicidio assistito in Svizzera, e ho firmato in Italia per il testamento biologico. Se il dolore diventerà intollerabile, se succederà, deciderò per il mio viaggio di sola andata. E poi Antonio ha promesso: quando sarà il momento mi verrà a prendere».