La Stampa, 21 giugno 2022
Fabrizio Bentivoglio e la vecchiaia
Lo sforzo di uscire dal proprio guscio apatico per guardarsi intorno, una luce di coerenza che si accende all’improvviso, l’idea che, aiutando gli altri, saremmo noi stessi i primi a star meglio. Nel Settembre di Giulia Steigerwalt premiata ieri come miglior regista esordiente ai Nastri d’Argento, Fabrizio Bentivoglio, nei panni del medico Guglielmo, si muove perfettamente a suo agio come se, su tutti i temi suggeriti dalla vicenda, si fosse già interrogato e dato risposte. Di sicuro c’è che, in questa parte della carriera, di ruolo in ruolo, dall’autore tv e investigatore per passione della serie Monterossi al protagonista, con Toni Servillo, del nuovo film di Gabriele Salvatores Il ritorno di Casanova, Bentivoglio porti avanti certe sue convinzioni, seguendo una linea precisa che ha a che fare con il tempo che passa e con quello che tutti stiamo vivendo.
Anche gli uomini faticano a invecchiare. E’ una verità con cui, in "Settembre", il suo personaggio è costretto a confrontarsi. Lei che ne pensa?
«Ultimamente mi capita spesso di affrontare questo argomento, anche il film di Gabriele ha lo stesso tema. Il punto è il modo con cui l’uomo si rapporta al proprio invecchiamento. Con Servillo, sul set, facevamo insieme una riflessione. E cioè che, per la nostra generazione, l’invecchiamento non era previsto. Per questo lo affrontiamo con sorpresa e meraviglia autentiche, scopriamo una realtà di cui nessuno ci aveva parlato. Nessuno ci ha detto che saremmo invecchiati e nessuno di noi l’aveva previsto. Così ci siamo trovati a fare i conti con questo graduale incepparsi, con l’inizio di una marcia in solitudine, ognuno con la propria storia».
Sentirsi soli è un’altra caratteristica della nostra epoca. E’ d’accordo?
«Forse avranno influito i due anni di Covid, ma oggi nessuno si tocca più, nessuno si accarezza e nessuno tende la mano verso l’altro».
"Settembre" parla anche di disattenzione maschile. Perché gli uomini, nella sfera dei sentimenti, possono arrivare ad essere così tanto distratti?
«Non si può generalizzare, ognuno ha il suo modo di raggiungere questa che, sicuramente, è una prerogativa maschile molto diffusa. Forse non riescono a sfuggirla nemmeno i più attenti, se ne sapessi la ragione, anche io, forse, riuscirei a essere meno disattento. Penso che il film descriva una storia di resilienza, tutti i personaggi, alla fine, traggono beneficio dall’aiutare gli altri, ognuno è, inconsapevolmente, la cura dell’altro. Si chiama Settembre ma, in realtà, racconta una fioritura fuori stagione di sentimenti e comportamenti».
Il medico che interpreta parla di coerenza. Un valore poco considerato, perché?
«In campo artistico un po’ di incoerenza deve esserci, nel senso che una carriera può anche prendere una traiettoria inattesa, si può scegliere di fare una cosa che sorprende, sbucare in un posto diverso da quello dove il pubblico è abituato ad aspettarti. Nella vita, poi, la coerenza sta dentro ognuno di noi, riguarda quel momento in cui siamo davanti allo specchio di mattina per farci la barba, allora capisci se sei coerente oppure no. Se non lo sei non riesci nemmeno a guardarti».
Che cosa la spinge verso un personaggio?
«Mi sono sempre lasciato un margine di sorpresa, di attesa di quello che arriverà. Naturalmente ci sono cose che decido di voler fare, adesso, per esempio, ho ripreso in mano un vecchio progetto sulla Solitudine del satiro di Ennio Flaiano, lo porterò in giro in teatro, come lettura. Forse il minimo comune denominatore delle mie scelte è che si tratti di cose che mi piacciono. Credo che adesso l’impegno generale debba essere quello di fare benissimo. Tutti dobbiamo alzare sensibilmente la qualità del prodotto. Solo così riusciremo a essere un’eccellenza anche in fasi difficili come questa, se ci accontentiamo è la fine».
C’è una guerra che incombe sulle nostre vite, anche, se in apparenza, continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Lei come convive con questa situazione?
«E’ inutile nasconderlo, non ci pensiamo 24 ore su 24, ma tutte le volte in cui il pensiero torna a quella realtà c’è, oltre lo sconforto, una vera sorpresa per quello che sta avvenendo. Un cosa veramente assurda, improponibile in un mondo che, fino all’altro ieri, si è detto civilizzato, e invece non lo è affatto. Quello che sta accadendo è il manifesto della più barbara inciviltà. Nessuno si sarebbe aspettato di dover assistere a una cosa del genere».
Gli attori si mobilitano per richiedere il rispetto di norme riguardanti i compensi che , in Italia, non vengono applicate. Che cosa ne dice?
«È un problema importante. Durante questi anni di pandemia, il regalo più grande che la nostra categoria, storicamente divisa, si è fatta, è stata la nascita di "Unita", un’ associazione che si occupa proprio di tutelare la dignità della categoria. Ci hanno messo i piedi in testa da sempre, non abbiamo un contratto nazionale dei lavoratori, quello in essere risale al primo dopoguerra. Continuiamo a essere considerati come il pagliaccio che sta al semaforo a tirare i bastoncini, è umiliante».
Come è stato recitare con Toni Servillo nel Ritorno di Casanova?
«Con Toni ci conosciamo da tanti anni, abbiamo già lavorato insieme, ma ogni volta è capitato che avessimo una sola scena da condividere. O non ci incontriamo mai o ci incrociamo una sola volta in tutto il film. Infatti ci ripetiamo sempre "ma perché non ci scrivono una sceneggiatura in cui possiamo recitare insieme un po’ di più?"».