La Stampa, 21 giugno 2022
La Maturità di Wilfried Gnonto
Non chiamatelo il «latinista del gol», non ama il soprannome che gli è stato dato quando si è scoperta la sua passione per le lingue, anche classiche. «Non faccio nulla di eccezionale, è normale studiare», risponde Willy Gnonto con un sorriso che coinvolge gli occhi timidi di chi ha il mondo davanti e vuole scoprirlo passo dopo passo. E lo fa con la naturalezza dei suoi 18 anni, 19 a novembre, alla vigilia della maturità.
In questi giorni l’esordio e il gol più «giovane» con l’Italia di Mancini passano un po’ in secondo piano. Si pensa alla scuola. Domani Willy inizia l’esame da privatista al liceo scientifico sportivo «Olga Fiorini-Marco Pantani» di Busto Arsizio. Negli ultimi due anni ha studiato online, il biennio l’aveva fatto al liceo classico Cavalieri di Verbania.
Come sarà la sua notte prima degli esami?
«L’esame di Mancini è stato difficile, quello di maturità lo sarà altrettanto. Cerco di restare concentrato».
È riuscito a studiare in ritiro?
«Mi ha portato i libri papà dopo la prima partita. Ero stato convocato da Mancini per uno stage, non mi aspettavo di restare in azzurro così a lungo».
Quanto è importate per uno sportivo professionista, oggi, studiare?
«È fondamentale. La carriera dura, se tutto va bene, una quindicina d’anni. E poi? A 35 inizia una nuova vita e bisogna farsi trovare pronti».
Anche se si riesce a guadagnare tanti soldi come può capitare nel calcio?
«Senza dubbio».
Il sistema scolastico italiano è in grado di sostenere chi, come lei, vuole portare avanti entrambe le carriere?
«Sì, ne sono la dimostrazione. Nonostante gli impegni sono riuscito a coniugare calcio e studio. Il merito è anche dei club, non solo dei licei sportivi. Quando ero nel vivaio dell’Inter mi hanno dato tutte le opportunità: la società è collegata all’istituto in cui farò la maturità e mi spronava a non mollare».
Sente più la pressione in campo o davanti a un prof?
«Giocando la sento meno rispetto a un anno fa. Aver fatto esperienza all’estero, a Zurigo nella serie A svizzera, mi ha aiutato a maturare lontano dallo stress. Riesco a essere più calmo, con effetti che valgono anche a scuola».
Cosa farà dopo la maturità, a parte il calciatore?
«Conosco bene francese e tedesco, il prossimo anno vorrei dedicarlo a migliorare l’inglese e a imparare lo spagnolo. Poi punterò a una facoltà in questo settore».
Come è cambiata la sua vita con l’esordio in Nazionale?
«Molto, sia per me sia per la mia famiglia».
Mamma e papà hanno fatto tanti sacrifici per consentirle di giocare...
«Solo ora me ne rendo conto. Papà faceva i turni di notte in fabbrica per accompagnarmi agli allenamenti a Milano di giorno, e dormiva in auto aspettandomi. Mamma faceva la cameriera ai piani all’hotel Dino di Baveno: sperava sempre nella mancia per pagare i viaggi».
Suo padre è arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio 29 anni fa. Lei è stato in Africa?
«L’ultima volta poco prima del Covid. Spero di tornare a dicembre durante la pausa dei campionati per il Mondiale. Mi aspettano la nonna e tanti parenti. Sono italiano, l’Italia è casa mia, ma sento forte anche il Paese d’origine della famiglia».
Casi di razzismo?
«Fortunatamente no. Anzi, a Baveno sono anche fin troppo amato e coccolato».
È religioso?
«Molto, sono cattolico. La domenica quando torno sul Lago Maggiore vado a messa».
Studioso, serio, il figlio che ogni mamma vorrebbe. Ci sarà pure un difetto, no?
«Sono impaziente e impulsivo, ma sto imparando a gestire le emozioni».
Ieri a Verbania ha parlato ai bambini del camp del suo primo allenatore Rino Molle. Come trova il tempo anche per queste cose?
«Sono riconoscente, con Molle e con tutti quelli che mi hanno aiutato. Ricordo il primo insegnamento di Rino: essere altruista. La palla si passa, non si tiene tra i piedi. E io lo facevo un po’ troppo».