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 2022  giugno 21 Martedì calendario

I cinquant’anni della Galleria del vento di Pininfarina



Da cinquant’anni un’aria vorticosa e freschissima disegna il futuro e non invecchia mai. La Galleria del vento Pininfarina nacque quando l’Italia era percorsa dallebici Graziella, e la domenica le auto non circolavano per via della crisi energetica: eccola ancora qui, la Galleria, insieme a un’Italia non tanto meno provata da un’energia sempre più cara e sempre più rara.
Immaginate due tronchi di cono coricati e lunghi, in tutto, tredici metri, uniti tra loro nei due diametri più brevi, con alla sommità quella che chi lavora qui, dall’ingegnere capo all’operaio specializzatissimo, chiama “il ventolone”, cioè un’elica larga quasi cinque metri e munita di 29 pale, capace di sparare vento a 250 chilometri all’ora, la famosa “soffiata”: la magia dell’aerodinamica nasce così. «L’aerodinamica,una cosache serve a chi non sa fare i motori», disse un giorno Enzo Ferrari che non sbagliava quasi mai, ma quella volta sì.
L’idea fu un’intuizione leonardesca, a pensarci adesso. La ebbero Sergio Pininfarina, il capo, e l’ingegner Alberto Morelli, il progettista, il quale vide con occhi profetici un vento creato dall’uomo e capace, a contatto con gli oggetti e in particolare le automobili, di indicare le forme migliori per penetrarlo con minore attrito, dunque con migliori prestazioni e comforte a consumi inferiori. Il professor Morelli, che insegnava Costruzioni Automobilistiche al Politecnico di Torino e da ragazzo era stato aeromodellista (un giorno avrebbe progettato anche gli atlanti che tanto amava, e i suoi erano macchine da record: restavano in volo più a lungo e più in alto, pilotati da lui), cominciò a pensarci nel 1967: la Galleria del vento fu inaugurata cinque anni più tardi a Grugliasco, nei pressi di Torino dove in quei giorni Fruttero & Lucentini mandavano nel mondo la loro indimenticabileDonna della domenica.
Esistono visioni eternamentegiovani.
Ed eccoci dentro il “tubo” che è di un bel blu cobalto, mentre il ventolone è rosso e giallo: design vuol anche dire colori giusti. «I nostri predecessori, in particolare il professor Morelli, ebbero un’illuminazione: immaginare un luogo tutto sommato piccolo, dove il vento potesse restare incircuito nello stesso condotto di ritorno, prendendo velocità ». L’ingegner Alessandro Aquili è il responsabile della Galleria Pininfarina e la racconta come un bambino farebbe della sua casetta sull’albero, cioè con amore e stupore,maancheconl’orgogliodi essere in un luogo particolarissimo,ancora eccellenza mondialedopomezzosecolo.
La Galleria viene noleggiata a giornate,nonproprioamodichecifre. I clienti conducono test ovviamente segreti. «Nella sala comando non esistono connessioni Internet, proprio per evitare che qualche porta informatica possa restare socchiusa.Quipotremmolavorare anche senza telefoni, isolati dal mondo». Non c’è forma che non possa essere accarezzata da questo vento sintetico e un po’ misterioso. Si cominciò con le auto, prima vocazionedelcarrozziereBattista Farina detto Pinìn (cioè, in piemontese, Giuseppino come il padre al quale assomigliava moltissimo), storico fondatore, e in cinque decenni nel tubo è passato di tutto: la bici del record dell’ora di Moser, la tenda himalayana di Messner, la torcia olimpica di Torino 2006 e poi i bolidi di Formula Uno (sulla Ferrari di Gilles Villeneuve era incollato l’adesivo della Galleria del vento Pininfarina), mazze da golf, scarponi da sci, articoli sportivi di ogni genere ma anche treni ad alta velocità, yacht, ali di aereo, edifici, grattacieli e ponti, questi ovviamente in scala, anche se la Galleria del vento deve la sua particolarità al fatto di avere cominciato a lavorare con oggetti in scala 1:1, cioè a grandezza naturale. E questa è ancora la forza del ventolone, persino nell’era in cui qualcuno vorrebbe digitalizzare anche pensieri e comportamenti. «Certo, pure noi effettuiamo simulazioni numeriche, ma i test dal vivo permettono di analizzare i più minimi dettagli, il piccolissimo che nell’aerodinamica fa la differenza. E poi sono molto piùvelocidellemanovrediqualunque computer».
La scienza e la ricerca, cinquant’anni fa come oggi, rimangono qualcosa di molto corporeo e fisico, senza offesa per impulsi elettrici e monitor. Dentro la Galleria è un tripudio di cavi, nastri, pulegge, condotte, ingranaggi e manome-tri, fino al cuore dell’intero sistema che non è la gigantesca elica ma la bilancia di incredibile precisionedove vengono collocate le forme da testare, siano esse un furgone o una stilografica. Il professor Morelli andò a scovarla in Germania, e la vecchia Pfisterdopo cinque decenni è ancora qui a misurare le forze che il vento imprime sulle forme, esatta come quella del farmacista pur avendo a che fare con migliaia di chilogrammi.Un prodigio.
Quando venne inaugurata nel 1972, prima in Italia, nel mondo esistevano soltanto sette gallerie così. Neltempoèstatanaturalmentemigliorata, ad esempio la prima elica portava quattro grandi pale invece delle 29 più corte, ma il motore da mille kilowatt e tutto il sistema circostante restanopiùomenoquelli, anche se ora agiscono manichini acustici binaurali capaci di “sentire” i rumori (l’acustica è diventata moltopiùimportanterispettoacinquant’anni fa)ediindicareconleloro orecchie fantascientifiche cosa fare per ridurli.
Se ne stupirebbe Battista Farina dettoPinìn,ilqualeneglianniTrenta raccontò di avere notato, durante una passeggiata in montagna, come il vento scavasse forme nella neve e plasmasse quelle degli alberi. «L’aerodinamica? In fondo, ho solo copiato».