il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2022
Salvini teme di essere fatto fuori dalla Lega
Matteo Salvini osserva da lontano lo scontro fratricida nel Movimento 5 Stelle. Ma non è totalmente disinteressato. Sa che tra una settimana, dopo i ballottaggi e quando sarà finita la tregua elettorale con i presidenti di Regione, anche nella Lega potrebbe aprirsi una battaglia interna. E la sua leadership essere messa in discussione. In pubblico, così, Salvini centellina i commenti sulla faida tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Ieri da Parma il leader della Lega è sembrato prendere le parti di Conte tra i due contendenti: “Avere un ministro degli Esteri sconfessato dal suo partito, con una guerra in corso, non è il massimo della vita, perché rappresenta l’Italia” ha spiegato.
Il rapporto tra Salvini e Di Maio è pessimo da tempo e, nelle ultime settimane, i due non si sono fatti mancare polemiche a distanza. Il leghista lo ha definito un ministro “non operativo e non credibile”, mentre Di Maio, dopo averlo criticato per la sua volontà di andare a Mosca (“con Putin ci parla Draghi”), ha usato proprio il segretario del Carroccio come pietra di paragone per attaccare Conte come sinonimo di affidabilità: “Basta imitare Salvini”, ha detto il ministro degli Esteri. Sulla risoluzione di oggi in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo, il senatore milanese ha abbassato i toni e si ferma a una sola richiesta: che nel testo “si parli di pace”. Preferisce concentrarsi sui temi economici: “Se il governo non approverà un decreto benzina e un decreto siccità entro giugno sarà un enorme problema”. Salvini ha capito che le sue posizioni pacifiste non hanno pagato più di tanto in termini elettorali e punta sui portafogli sempre più vuoti degli italiani per recuperare consensi. Resta però la preoccupazione per quello che potrebbe succedere nella Lega da lunedì, il giorno dopo i ballottaggi. I governisti come Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti hanno accettato di non criticare apertamente il segretario prima del secondo turno. Ma dopo qualcosa succederà. E il timore che circola in queste ore in via Bellerio è che quello di Di Maio contro Conte sia solo il primo colpo del “sistema Draghi” per far fuori i leader dei due partiti accusati di “populismo” – Lega e M5S – che vinsero le elezioni nel 2018. Obiettivo: ripetere lo stesso governo di larghe intese tra un anno. Giorgia Meloni, invece, agli occhi di Salvini è vista paradossalmente come ben inserita nel contesto draghiano: “Rompe le scatole a noi, ma sulla guerra è piegata sul governo” dice un alto dirigente leghista. E quindi, tra i salviniani, il maggior indiziato per fare quello che sta facendo Di Maio nel M5S è proprio Giancarlo Giorgetti, che ha ottimi rapporti sia con Draghi che col ministro degli Esteri. Il numero due della Lega non si esprime pubblicamente da giorni, ma chi ci parla quotidianamente lo definisce “avvilito” per la sbandata di Salvini verso Mosca e “per niente stupito” dalla sconfitta della Lega al Nord.
Politicamente, il leader del Carroccio teme anche che la probabile scissione di Di Maio dal M5S porti a un polo moderato che inglobi quel che resta di Forza Italia facendo fallire il suo disegno di federazione di centrodestra Lega-FI, ultima possibilità per andare a Palazzo Chigi al posto di Meloni. Al timore di una rappresaglia interna si aggiunge un altro fatto che potrebbe dare il colpo di grazia alla leadership di Salvini. Nelle prossime settimane, in via Bellerio parlano di inizio luglio, la procura di Milano dovrebbe chiudere le indagini sul Metropol in cui sono coinvolti alcuni uomini vicini a Salvini, tra cui Gianluca Savoini, Gianluca Meranda e Alessandro Vannucci indagati per corruzione internazionale. Se la Procura dovesse chiedere il rinvio a giudizio e il caso tornare sui giornali, sarebbe un duro colpo per Salvini dopo le polemiche sul suo viaggio a Mosca e sui suoi incontri con l’ambasciatore russo Sergej Razov. Già in quell’occasione il leader della Lega con i fedelissimi aveva parlato di una manovra dei “servizi segreti” per farlo fuori. Ora, con la decisione imminente dei pm di Milano, in via Bellerio qualcuno tira fuori già la parola “complotto”.