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 2022  giugno 20 Lunedì calendario

Di Maio, un baluardo dell’atlantismo

Luigi Di Maio ha una funzione evidente per la grande e piccola stampa che si definisce liberale e democratica. Fino a poco fa era trattato come un inutile idiota: era il “bibitaro”, “l’uomo che ha sconfitto la povertà” con una recita su un balcone, quello che sbagliava i congiuntivi, il grillino che chiamava “Ping” il presidente cinese, l’arrampicatore sociale che nel 2018 aveva portato il Movimento 5 Stelle, con un programma radicale e anti-sistema, fino al 33 per cento. Un personaggio inaccettabile per i più autorevoli quotidiani nazionali.
Da un po’ di tempo invece gli stessi giornali hanno scoperto che Di Maio è tutt’altro che inutile, anzi: è l’unico argine democratico all’interno del M5S, un autentico frangiflutti che contrasta la deriva populista e pacifista di Giuseppe Conte; un ministro degli Esteri maturo, affidabile, europeista, atlantista; un uomo di potere.
Nei giorni in cui la faida dei 5Stelle torna in superficie, il bibitaro Di Maio è di nuovo statista. Francesco Verderami sul Corriere della Sera ne riporta volentieri le riflessioni più sofferte. “In questi anni Di Maio ha visto Conte cambiare così tante volte maschera, che ha smesso di sorprendersi”. Di Maio, proprio lui: quello dell’impeachment a Mattarella e dell’abbraccio ai gilet gialli francesi, dovrebbe scandalizzarsi delle “maschere” altrui. Il ministro degli Esteri affida al Corriere, sotto forma di retroscena, un virgolettato velenoso su Conte: “Nei panni del barricadièro non è credibile, sembra Di Battista con la pochette”. L’ex premier, spiega Verderami (e non si capisce più se interpreta Di Maio o va a ruota libera) ha un comportamento “politicamente pericoloso”, si sente “invincibile”. Sempre sul Corriere, Massimo Franco spiega che Di Maio è al massimo colpevole di dire la verità, è “reo di aver detto quello che molti nel Movimento pensano”, all’interno di un “conflitto che certifica il tramonto populista”, come stabilisce il titolo del suo editoriale.
Su Repubblica del 17 giugno, Stefano Folli spiega la funzione quasi eroica del titolare della Farnesina, che “difende un assetto generale in politica estera che Draghi e Matterella vogliono tutelare”. Un baluardo dell’atlantismo. Ieri Repubblica ha presentato l’ex bibitaro anche come un credibile interlocutore del “polo riformista” che dovrebbe raccogliersi attorno al sindaco di Milano, Beppe Sala. Secondo il giornale degli Agnelli, Di Maio “potrebbe rappresentare la marcia in più per far decollare il progetto di Sala”, che punta “all’eredità migliore del fu Movimento di Grillo”, “una figura chiave per allargare il mercato elettorale di questo soggetto ‘popolare, liberal democratico, ambientalista e sociale’”.
Anche il Quotidiano Nazionale esalta Di Maio e lo invita a finire il lavoro di demolizione del Movimento con questo titolo: “Il M5S è finito, Di Maio vada fino in fondo”. L’obiettivo è chiaro: “L’attacco finale di Luigi Di Maio alla leadership (o presunta tale) di Giuseppe Conte e alla evidente ambiguità della sua linea politica è un sano momento di democrazia e trasparenza dentro un Movimento che ha sempre predicato bene e razzolato male proprio su questi terreni”. Poi c’è Il Riformista: “Se n’è accorto anche Luigi Di Maio, il suo avversario è un ologramma che comunque continua a fare casini in giro. Ieri (giovedì, ndr) Di Maio l’ha asfaltato senza però mai nominarlo (se non esiste…)”.
Dulcis in fundo, persino Alessandro Sallusti, il direttore di Libero, ha iniziato a fare il tifo per Di Maio. A Otto e mezzo, Sallusti ha definito Conte “un vero usurpatore nel M5S”. Di Maio invece è una delle “due anime del Movimento 5 Stelle” (l’altra è Di Battista), uno con una credibilità elettorale, “che è riuscito a prendere i voti veri nell’urna”. Fino all’altro ieri, in buona compagnia, Sallusti definiva Di Maio “un ragazzino che fino a quattro anni fa vendeva bibite”.