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 2022  giugno 19 Domenica calendario

La lunga notte del Watergate

Sabato 17 giugno 1972 era una giornata di inizio estate come tante. A Washington DC, capitale degli Stati Uniti d’America, non era accaduto nulla di particolarmente rilevante che valesse la pena raccontare, se non fosse stato per quel pezzetto di nastro adesivo. Frank Willis, guardia giurata che lavorava al Watergate – un lussuoso complesso immobiliare con albergo, residence ed uffici – lo aveva notato nella porta che dal piano terra conduceva al parcheggio sotterraneo, lo aveva staccato con noncuranza e aveva ripreso il suo giro di controllo nel grande hotel. Se Frank non fosse ripassato di lì a poco davanti quella porta, se non avesse trovato un nuovo nastro adesivo che abili mani avevano rimesso per tenerla aperta, se non avesse sospettato un tentativo di furto, forse la storia d’America (e non solo) avrebbe avuto un destino diverso.
Era l’1 e 52 del mattino quando la radio di un’auto civetta della polizia, con tre agenti in abiti civili che pattugliavano Georgetown – il quartiere più vivace della capitale statunitense, allora terreno di caccia per squadre anti-droga e per la buoncostume – gracchiò l’allerta «porte aperte al Watergate!». Una rapida inversione ad U, l’ingresso nella lobby dell’hotel, una chiacchierata con Willis e la convinzione, in un primo momento, che si trattasse di uno dei tanti falsi allarmi denunciati nelle notti di Washington. Avevano torto, perché dietro quella “intrusione con effrazione” si nascondeva una strana storia che avrebbe (due anni dopo) costretto alle dimissioni l’uomo più potente del mondo: il presidente Richard Nixon. Per sicurezza i tre agenti iniziarono un lungo giro d’ispezione, cominciando dalla suite al sesto piano del Watergate dove il Partito Democratico aveva stabilito il suo quartier generale. Quando entrarono nella stanza un uomo si alzò di scatto dalla scrivania urlando «non sparate» e gli allibiti poliziotti si trovarono di fronte cinque soggetti in giacca e cravatta, dotati di walkie talkie e strani apparecchi. I cinque “ladri”, subito arrestati, diedero nomi falsi e la mattina dopo il procuratore di turno li portò davanti al giudice con l’accusa di rapina («altamente professionale e con un chiaro intento clandestino, ma senza bottino»).
Poche ore dopo il capocronista delWashington Post ,Barry Sussman, venne buttato giù dal letto dal vice-direttore del quotidiano Howard Simons, svegliato a sua volta dal capo degli avvocati del Partito Democratico (Joseph Califano Jr.) che gli aveva raccontato della «strana effrazione» al Watergate. Sussman (che è morto il primo giugno scorso) andò subito in redazione e affidò a un gruppo di giovani reporter il compito di seguire quel caso così insolito. Il 18 giugno il primo articolo su quello che passerà alla storia come lo scandalo Watergate venne firmato da Alfred E. Lewis, veterano reporter della cronaca nera. Un lungo articolo di prima pagina che iniziava così: “Cinque uomini, uno dei quali ha dichiarato di essere un ex dipendente della Central Intelligence Agency, sono stati arrestati alle 2 e 30 di ieri in quello che le autorità hanno descritto come un elaborato complotto per intercettare gli uffici del Comitato Nazionale Democratico. Tre degli uomini erano nativi di Cuba e un altro avrebbe addestrato esuli cubani per attività di guerriglia dopo l’invasione della Baia dei Porci nel 1961. Sono stati sorpresi sotto la minaccia delle armi da tre agenti in borghese del Dipartimento di polizia metropolitana in un ufficio al sesto piano del lussuoso Watergate”. In fondo c’erano i nomi di otto giovani cronisti che avevano collaborato: i primi due si chiamavano Bob Woodward e Carl Bernstein ed erano stati assunti da pochi mesi. Saranno loro (insieme a Sussman, troppo spesso dimenticato) i protagonisti dell’inchiesta che fece vincere alWashington Post il premio Pulitzer e portò alla caduta del presidente degli Stati Uniti.
Per capire il Watergate occorre fare un passo indietro. Il 2 maggio 1972 era morto J. Edgar Hoover – indiscusso boss dell’Fbi e per decenni uno degli uomini più potenti d’America – lasciando un vuoto difficile da colmare. Convinto di diventarne il successore era W. Mark Felt, numero due del Bureau, che tre anni prima aveva incontrato casualmente alla Casa Bianca un tenente della U.S Navy assegnato al Pentagono: era Woodward. Poche ore dopo l’arresto notturno, l’Fbi aveva individuato il nome di E. Howard Hunt, ex agente Cia e autore di romanzi di spionaggio, nelle agende di due dei “ladri”, notizia che venne pubblicata (il 19 giugno) dal Washington Post .Era il primo tassello della ricostruzione che avrebbe permesso di collegare Nixon alla squadra di scassinatori. Bob Woodward lo aveva ottenuto da Felt, con cui era riuscito a creare un legame quasi di amicizia. Puntando sul suo risentimento per la mancata promozione, lo convinse a diventare una fonte segreta: Deep Throat, gola profonda.
La prima volta che Carl Bernstein e Bob Woodward scrissero insieme un articolo fu domenica 18 luglio. Da allora divennero inseparabili e pubblicarono sempre in coppia. Il 1° agosto 1972 ilWashington Post rivela che un assegno da 25 mila dollari diretto alla campagna di Nixon era stato liquidato nel conto di uno degli arrestati al Watergate. È ancora poco chiaro cosa abbia spinto i potenti uomini della Casa Bianca a un’operazione di spionaggio di quel genere nei confronti del rivale democratico: Nixon quell’anno venne rieletto con facilità. La leggenda sostiene che il Watergate inizia per una questione di soldi e i “ladri” sembrano essere usciti dalla fantasia di un romanziere. Ma le decine di articoli delWashington Post e il meticoloso lavoro di due (o tre) eccezionali cronisti hanno dimostrato la realtà del complotto contro la democrazia. E dopo 50 anni sono diventati Storia.