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 2022  giugno 19 Domenica calendario

È incubo povertà per l’Ucraina

BAKHMUT — La povertà a dodici chilometri dal fronte zero — le trincee dove i soldati ucraini si interrano e dentro le quali gli elicotteri russi sparano — è Natalya, un’età sui cinquanta. È seduta in fondo agli scalini che portano al palazzone popolare di Bakhmut, salda architettura sovietica. Guarda il vuoto e accetta l’elemosina, perché adesso non ha altro a cui affidarsi. «Vivo qui sopra», dice, e indica il terzo piano. «Vivo sola ». Ha dovuto lasciare tutto, in questa città. Il lavoro è scomparso il giorno dopo l’invasione. «Un mese e sono andata via, ho raggiunto i miei parenti a Dnipro. Mi hanno accolto bene, ma sono bastati pochi giorni per sentirmi un peso. Mia sorella, i suoi figli, avevano i loro problemi e ho deciso di tornare. No, a Bakhmut non mi fanno paura le bombe, ma questa vita senza un senso che non sai quando finirà». Davanti a lei i due chioschi kebab rimasti aperti sono il rifornimento per i soldati che si muovono rapidi dalla trincea al centro. Arrivano con auto colorate di verde fango, militari tatuati sbucano fuori da quelle senza capote come eroi di “Mad Max”. La trap ucraina ritma versi nazionalisti: mangiano in piedi e ripartono verso i boschi.
Già, i soldati. Sono tra i pochi con lo stipendio assicurato, in questa stagione di guerra: il loro mensile, adeguato, è garantito dai finanziamenti americani. Può respirare anche chi fa quei mestieri collegati al conflitto, medico, barelliere. I volontari dedicati ai rifugiati, per esempio, hanno iniziato ad essere pagati. Per gli altri, le parole della ministra delle Politiche sociali, Marina Lazebna, sono state un gelo: «A giugno centinaia di migliaia di cittadini ucraini non riceveranno la pensione né i benefici sociali». Si riferisce a coloro che vivono nei territori occupati e nelle zone di guerra, a Sud e a Est. Nelle cinque regioni che corrispondono alla descrizione risiedevano più di undici milioni di persone. Gran parte sono fuggite, ma almeno la metà rischia, dalla fine del mese, di non avere i soldi per il pane.
L’inflazione qui galoppa al 16,7 per cento. Il cambio della grivnia con l’euro è a quota 32 allo sportello,38 in strada. Il prezzo della benzina continua ad aumentare: 41 per litro a Kiev, 51 nel Donbass. Ci sono file di mezzo chilometro per rifornirsi. I prezzi dei beni di prima necessità sono il doppio. La Banca europea per la ricostruzione stima un crollo del prodotto interno del 45,1 per cento e il rimbalzo nel 2023 non ci sarà. Ci sarà ancora la guerra, dice la Nato.
Ma di che pensioni parla, la ministra del Welfare? Un insegnante con venti anni di servizio nella capitale prende un corrispettivo di 300 euro al mese. Dall’invasione i salari dei lavoratori privati sono crollati del 25 fino al 50 per cento. Cinque milioni di persone hanno perso il lavoro, conteggio tutto da aggiornare, 7,3 milioni hanno lasciato il Paese, 16 milioni sono dentro un percorso umanitario. La Banca Mondiale ha appena approvato un finanziamento aggiuntivo per contribuire al pagamento dello stipendio dei lavoratori statali: il sostegno complessivo è di oltre 4 miliardi di dollari. Il Canada ha trasferito 773 milioni.
L’export di grano e di metalli è quasi fermo. Una delle ragioni per cui la battaglia per il controllo dell’area meridionale del Donbass è così feroce è la presenza nella terra di ferro, uranio, zirconio, litio, titanio. Tutto è bloccato, ovviamente: estrazione e vendita. E diverse miniere sono già in mano nemica. Anche la Russia si sta impoverendo, l’Ucraina di più e più rapidamente. Le aziende che avevano contratti con la Federazione e la Bielorussia prima del conflitto, sono state subito colpite. E così le piccole e medie imprese, messe in mora dalle banche e affaticate nel trasporto delle merci da strade già terribili a cui la cura Zelensky in tempo di pace non è bastata. I solchi dei carri armati hanno reso fragile il nuovo asfalto e le vie minori sono ancora di terra e fango.
«A Sloviansk non abbiamo acqua pulita», dicono i pensionati al supermercato. Ogni acquisto è limitato: tre alimenti, quattro, si esce dal market con un sacchetto pieno a metà. A Vinnytsia, nel Centro dell’Ucraina, a Mykolaiv, nel Sud, e a Dnipro, porta d’accesso al Donbass, alle sette di mattina si iniziano le consegne dei pacchi viveri: riso, pasta, qualche dolce. Si può stare in fila anche quattro ore e si vedono ex benestanti che hanno parcheggiato il Suv lì vicino.